domenica 3 marzo 2013

Wolf3D

Cyberzen, 7806 caratteri, versione 1.0


WOLF3D
di
Leonardo Boselli


Il dischetto da tre pollici e mezzo recava un'etichetta con su scritto “Wolf3D”. Un amico gliel’aveva consegnato come una reliquia preziosa e aveva detto: «Provalo, ti divertirai».
A casa, davanti al PC, attese che Windows 3.1 terminasse la sua fase di inizializzazione e, dopo aver inserito con attenzione il dischetto nella sua feritoia verticale, ne esplorò il contenuto.
Erano presenti vari files tra cui un readme in inglese e un programma d’installazione. Senza altri indugi, lo mandò in esecuzione e il lettore cominciò a macinare dati.
Dopo aver inserito alcuni parametri predefiniti, sul monitor apparve finalmente la barra che indicava il progresso dell'operazione. Non ci volle molto e, alla fine, venne eseguito il gioco vero e proprio.
La schermata mostrava l'immagine d’un uomo armato, un prigioniero in fuga, nascosto nell'oscurità, dietro l’angolo di un lungo corridoio. Dall'altro lato un soldato nazista, una guardia di ronda, percorreva ignara quello stesso corridoio. L'immagine faceva presagire ciò che sarebbe successo: era efficace e permetteva di immedesimarsi nella sorte del protagonista, un prigioniero che doveva fuggire dal castello di Wolfenstein, braccato da feroci guardie armate.
In un attimo selezionò l'opzione New Game e si trovò in una cella spoglia e claustrofobica. L'ambiente visualizzato era di un incredibile realismo. Fino a quel momento non aveva mai visto nulla di simile, alla fantastica risoluzione della VGA estesa, con grafica tridimensionale e tutti quei colori. La SoundBlaster poi stava eseguendo una colonna sonora inquietante che lo immergeva ancor di più in quell'atmosfera sospesa.
Sembrava che il suo PC, dopo aver scritto innumerevoli lettere e svolto banali calcoli tra le celle di un foglio elettronico, avesse aspettato mesi per esprimere le sue vere potenzialità e lo stesse facendo tutto in una volta, nella creazione di un mondo virtuale da esplorare.
Si rese conto che quel programma stava sfruttando al massimo le capacità del processore AMD a 40 MHz, gli 8 Mb di RAM e i chip della scheda grafica e di quella sonora. Si chiese anche come fosse possibile che la sua normalissima VESA in local bus potesse visualizzare un ambiente in tre dimensioni, perché aveva sentito parlare delle nuove schede grafiche con hardware 3D, ma erano troppo costose e, quindi, ne aveva acquistata una con un minimo di accelerazione 2D che, dicevano, permetteva di eseguire più velocemente i programmi Windows.
Concluse che quel John Carmack, citato nelle schermate di presentazione come il programmatore principale, fosse davvero un mago dell'informatica.
Toccò i tasti freccia della tastiera: il prigioniero si accostò alla porta della cella e l'aprì. Trovò abbandonata in un angolo una pistola e qualche colpo. Non sarebbe servita a molto, perché le guardie dovevano essere numerose e, soprattutto, bene armate, ma pensò che, per il momento, la sorveglianza lasciasse molto a desiderare, nonostante il mito della proverbiale efficienza del Terzo Reich.
Si incamminò con decisione lungo il corridoio. Poteva vedere le pareti, il pavimento e il soffitto scorrere intorno a lui. Più in fondo, si notavano due porte e corse verso di esse. Ne aprì una a caso, ma comprese che entrambe permettevano di accedere allo stesso locale, arredato in modo essenziale con tavoli, sedie e candelabri.
Dopo qualche istante di indecisione, entrò nella nuova stanza e si voltò di scatto perché percepì un grugnito alla sua destra. Lo spavento fu grande: a pochi passi vide un soldato armato che iniziò a sparargli addosso. Il panico si impossessò di lui, cominciò a premere il grilletto in modo compulsivo e svuotò sulla guardia l'intero caricatore. Con un urlo il soldato cadde a terra, inanimato.
A sconvolgerlo fu la sorpresa per quell'incontro inaspettato, più che l'impressione di veder cadere un corpo su cui aveva sparato a ripetizione. In fondo, pensò, quel soldato non avrebbe avuto pietà di lui: mors tua, vita mea.
Riprese fiato per qualche secondo e si accorse d’essere ferito, ma non gli ci volle molto per capire che quegli strani oggetti che aveva notato sul pavimento servivano per curarsi. Si procurò alcuni medikit per il pronto soccorso e si alimentò con porzioni di pollo arrosto. Trovò inoltre una ricarica per la pistola vicino al soldato morto. Così, dopo quel primo scontro, fu di nuovo in piena forma.
Mentre avanzava, incontrò altri nemici, ben più pericolosi di quella prima guardia che aveva ucciso. Li poteva riconoscere dalle divise e possedevano armi micidiali. Comprese che dovevano essere truppe d'èlite, con tutta probabilità facevano parte delle SS, mentre gli altri potevano forse rappresentare truppe regolari della Wehrmacht.
Dopo alcuni scontri, si era già procurato armi più efficaci della prima pistola semi-automatica. Aveva imparato a sparare brevi raffiche, per non sprecare troppe munizioni, e aveva appreso tutta una serie di tecniche per aggirare gli ostacoli e prendere di sorpresa le guardie.
Si era reso conto che non erano molto intelligenti, infatti adottavano solo una serie limitata di comportamenti e, spesso, poteva prevedere le loro mosse con largo anticipo. Quasi sempre i soldati di basso livello, dopo averlo avvistato, puntavano direttamente su di lui sparando con un ritmo blando: poteva evitare con facilità i loro colpi correndo lungo le pareti, mentre li abbatteva uno a uno con precise raffiche.
Più subdole erano invece le truppe d'èlite, perché si appostavano dietro gli angoli, in attesa del suo arrivo, ed erano più difficili da eliminare, poiché potevano incassare più colpi. Comunque erano disponibili abbastanza medikit per poter riprendere la corsa e avanzare con sufficiente sicurezza, nonostante l'opposizione di numerosi nemici.
Si ritrovò, infine, in un nuovo salone. Attorno a lui poteva contare i cadaveri dei soldati che aveva ucciso per farsi strada. L'arredamento era simile a quello di tante altre stanze e cominciava a diventare ripetitivo.
Si rese conto, girando attorno a un tavolo, che questo gli mostrava sempre lo stesso lato, anche se l'effetto non era immediatamente percepibile, perché era rotondo e il candelabro che sosteneva era posizionato in centro.
Anche i cadaveri si comportavano allo stesso modo: li vedeva sempre nella stessa posizione, anche se gli camminava intorno. In pratica capì che solo le pareti erano rappresentate in tre dimensioni, mentre i sodati, i tavoli e il resto dell'arredamento non erano altro che poster bidimensionali.
Dopo questa scoperta, si sentì preso in giro, come se fosse disturbato dal coinvolgimento che aveva provato per un mondo di cartapesta.
Decise di avviarsi con rapidità verso la fine del livello. Prima o poi, il labirinto di stanze e corridoi sarebbe terminato e avrebbe potuto essere libero.
Scelse una porta di quell'ultimo salone e l'aprì, pronto a sparare a qualsiasi cosa fosse apparsa là dietro. La porta si spalancò e vide per la prima volta un cane, che sembrava un pastore tedesco, proprio un bel cane lupo, la razza che preferiva.
Il cane si mise a ringhiare e, dopo un attimo d’incertezza, si lanciò in un balzo per avventarsi su di lui. L'azione fu improvvisa, non si aspettava quel bel pastore tedesco, ma si stava scagliando contro di lui e quindi sparò.
Bastò un colpo e, con un guaito straziante, il cane s’accasciò a terra. Lo vide agonizzare e, dopo un paio di sussulti, morire.
Fino a quel momento aveva corso all'impazzata abbattendo le sagome di innumerevoli soldati, poster senz'anima, macchine prive di intelligenza, e ora, invece, di fronte alla sofferenza di quell'animale, si era fermato a riflettere.
Decise che per quel giorno aveva ucciso abbastanza.
Aprì il menù del programma e scelse l'opzione Quit; premette un pulsante sul case e il dischetto uscì con uno scatto dalla feritoia; poi spense il PC.

F I N E

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