sabato 2 marzo 2013

Come ho impedito lo scoppio della terza guerra mondiale

Questo racconto è dedicato a
Stanley Kubrick e a Peter Sellers.
Contiene alcune battute tratte dal film:
Il dottor Stranamore, ovvero: come imparai
a non preoccuparmi e ad amare la bomba


Fantasatira, 14651 caratteri, versione 1.0


COME HO IMPEDITO LO SCOPPIO
DELLA
TERZA GUERRA MONDIALE

di
Leonardo Boselli


Ogni riferimento a persone e cose esistenti nella realtà o
a fatti veramente accaduti è da ritenersi del tutto casuale.


Amman (Giordania), 1 aprile 2015.

Nei giorni scorsi il mondo si è trovato sull’orlo di una catastrofe senza precedenti. La crisi dei missili iraniani ha tenuto l’umanità con il fiato sospeso per settimane e ha quasi causato lo scoppio della terza guerra mondiale.
Lo ha rivelato il ministro degli Esteri, Franco Frattini, che si trova ad Amman per la stipula del trattato di collaborazione e non belligeranza tra Israele e Iran della cui stesura è il principale artefice.
I colloqui tra il Presidente della Repubblica Islamica dell’Iran, Mahmud Ahmadinejad, e il Primo Ministro dello Stato d’Israele, Benjamin Netanyahu, rappresentano una pietra miliare nella storia del XXI secolo e sono mediati con grande autorevolezza proprio dal nostro ministro degli Esteri.
Mai nella storia dell’umanità si è assistito a un vertice a tre più rappresentativo degli equilibri mondiali. Sicuramente i colloqui a Camp David tra il presidente Carter, l’israeliano Begin e l’egiziano Sadat sono stati di minore importanza. Senza timore di essere smentiti, ci azzardiamo a paragonare l’azione di Frattini a quella diplomatica di Papa Giovanni XXIII, che portò alla risoluzione della crisi dei missili cubani tra il presidente Kennedy e il Primo Segretario del Comitato Centrale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, Nikita Krusciov.
Ho avuto la fortuna di poter intervistare il ministro, in una pausa prima della firma del trattato, e di sentire dalla sua viva voce come si è svolta la drammatica vicenda.

Il ministro mi ricevette in una saletta della sua suite al trentesimo piano de “Le Royal Hotel” di Amman. Lo trovai seduto su una delle poltrone, ma affabilmente si alzò e mi venne incontro. Dopo esserci accomodati, arrivammo subito al punto cruciale dell’intervista: «Ministro, nelle scorse settimane tutti abbiamo avuto l’impressione che il mondo si sia trovato sull’orlo del baratro. Lei, che ha assunto un ruolo cruciale nella vicenda, che cosa ci può raccontare?»
Il ministro dopo aver riflettuto lungamente con la destra appoggiata sul mento, accavallò le gambe e, appoggiando la sinistra al mento, meditò nuovamente. Poi disse sorridendo amabilmente: «Lei mi attribuisce un merito eccessivo. Certo, se la guerra fosse scoppiata ora ci troveremmo in guerra. Essere in guerra non è come essere in pace. Mentre durante un periodo di pace gli uomini vivono nella concordia fraterna, durante un periodo di guerra gli uomini si combattono con odio fratricida. Secondo noi e il governo che rappresentiamo è meglio che regni la pace piuttosto che la guerra: per questo è un dovere fare tutto ciò che è in nostro potere per scongiurare le guerre e far regnare la pace. Infatti quando regna la pace...»
«Mi pare che il concetto sia chiaro e assolutamente condivisibile», dissi interrompendolo con garbo, «ma i miei lettori sono impazienti di conoscere lo svolgimento dei fatti e il fondamentale ruolo che lei ha svolto».
Il ministro dopo aver riflettuto lungamente con la sinistra appoggiata sul mento, scavallò le gambe e, appoggiando la destra al mento, meditò nuovamente accavallando le gambe (al contrario rispetto a com’erano prima). Poi disse: «Mi lasci pensare».
Quindi dopo aver meditato a lungo con la destra appoggiata sul mento, scavallò le gambe e, appoggiando la sinistra al mento, rifletté nuovamente accavallando le gambe. Infine, iniziò a raccontare: «Come dicevo, lei mi attribuisce un merito eccessivo. Certo, se la guerra fosse scoppiata... ah, ma questo l’abbiamo già detto. Lei invece vuole conoscere lo svolgimento dei fatti».
Il ministro parlò quindi per un paio d’ore della sua vita, iniziò a mostrare le carte delle caramelle regalate dalla maestra d’asilo perché era stato un bravo bambino e terminò con le diapositive del matrimonio di cinque anni fa.
Alla fine arrivò al dunque: «La settimana scorsa mi trovavo a Roma durante una breve pausa tra le mie innumerevoli missioni in tutto il mondo, di cui appunto le raccontavo prima, e fui convocato d’urgenza alla Farnesina. Quando arrivai mi resi subito conto che qualcosa non andava per il verso giusto...»

La Farnesina, il palazzo sede del ministero degli Esteri, ha al suo interno una sala denominata War Room. L’accesso a questa sala è consentito solo allo staff dell’Unità di Crisi. Il ministro arrivò trafelato e fu fermato all’ingresso dalla sicurezza. Disse: «Sono il ministro Frattini, devo conferire con il direttore dell’Unità di Crisi».
Il militare di guardia rispose ridendo: «Sì, e io sono il generale Custer».
Un commilitone aggiunse: «Ma mi faccia il piacere, sono otto anni che presto servizio di guardia al palazzo e il ministro non l’ho mai visto. Adesso arriva questo, dice di essere il ministro e vuole entrare. Vedi d’andartene prima che ti pigli a calci in culo».
«Ma io...». Interruppe le proteste perché il militare mise mano al mitragliatore.
Girò quindi intorno al palazzo ed entrò dall’ingresso secondario. La scena si ripeté varie volte. All’entrata della War Room, grazie al test del DNA, le guardie si convinsero e riuscì ad accedere.
Lo accolse il direttore: «Finalmente è arrivato! La situazione sta precipitando! C’è bisogno del suo intervento immediato!»
Le pareti della War Room erano tappezzate di pannelli luminosi che mostravano le zone più calde del mondo.
Nella semioscurità spiccavano i segnalini dei sommergibili nucleari russi, americani e cinesi disseminati per tutti gli oceani, le lucine dei bombardieri in volo, le basi missilistiche in allerta, le unità d’assalto e da sbarco che combattevano in tutte le missioni di pace del pianeta. Non ci voleva un genio per capire che bastava poco per scatenare la terza guerra mondiale e, infatti, anche il ministro lo capì.
Era in atto un’escalation militare nel Medio Oriente che vedeva i bombardieri israeliani, armati di bombe atomiche, fronteggiare i 27 missili iraniani dotati di testate nucleari multiple. Nel caso di un conflitto, gli USA avrebbero attaccato l’Iran, la Cina avrebbe attaccato gli USA, la Russia, per non sbagliare, avrebbe attaccato sia la Cina che gli USA e, intanto che c’era, anche il Giappone, così l’Unione Europea si sarebbe trovata come al solito nel mezzo e solo l’olocausto nucleare avrebbe interrotto l’escalation.
Alla fine, gli unici soddisfatti della situazione sarebbero stati gli scarafaggi: dopo i dinosauri e gli uomini, finalmente toccava a loro dominare il pianeta!
«Perché non interviene il Presidente? Ha buoni rapporti con tutti i potenti della terra! Con la sua credibilità può certamente cambiare il corso degli eventi» chiese il ministro per togliersi dagli impicci.
«Purtroppo ora il Presidente è impegnato», si giustificò il direttore.
«A quest’ora di notte?»
«Sì, mi ha comunicato che ha in vista un rimpasto di governo e ora si trova a palazzo Grazioli per i provini delle future ministre. Ha anche aggiunto che per una volta doveva sbrigarsela lei e che non la paga solo per farsi dei bei viaggi in giro per il mondo!»
«Ma ha detto proprio così?»
«Testuali parole».
Il ministro si sedette al tavolo della War Room di fronte ai telefoni in comunicazione diretta con i grandi della terra. Dopo aver meditato lungamente con la destra appoggiata sul mento, accavallò le gambe e, appoggiando la sinistra al mento, disse: «Mi lasci pensare».
Dopo un’altra lunga pausa di riflessione, chiese: «Che cosa devo fare?»
Il direttore spiegò pazientemente: «Questi telefoni sono in contatto con tutti i potenti del mondo. I governanti degli Stati Uniti, della Russia, della Cina, della Gran Bretagna, della Francia, della Germania, di Israele, dell’Iran e dello Zimbabwe sono all’altro capo del filo e attendono una sua telefonata. Appena alzerà la cornetta un cicalino avvertirà l’interlocutore che risponderà immediatamente. Queste sono tutte linee rosse, con precedenza assoluta».
Una responsabilità enorme stava schiacciando il ministro. Da ciò che avrebbe detto sarebbero dipese le sorti dell’umanità e doveva riflettere bene.
Dopo un’adeguata pausa di meditazione, il ministro chiese: «Qual è il telefono che mette in contatto con la Russia?»
Il direttore, che si era appisolato, si svegliò di soprassalto e disse: «Russia? Il telefono bianco, blu e rosso. Come la bandiera russa».
Il ministro prese l’apparecchio e dall’altra parte sentì uno scocciato: «Allò!?»
«Putin? Sono il ministro Frattini, volevo... Perché rompo a quest’ora di notte? Ma è questione di vita o di morte... Come non sei Putin?... Sarkozy?... Devo aver sbagliato numero, scusa... Saluti anche alla signora Carlà... Scusa ancora e buonanotte!»
Il direttore, con le mani nei capelli, ripeté: «Bianco, blu e rosso! Bianco, blu e rosso! Come la bandiera russa, non blu, bianco e rosso, come la bandiera francese!»
«Ah, ecco».
Quindi prese l’apparecchio giusto: «Pronto, Vladimir?... Non c’è?... Sta facendo i provini alle candidate per decidere chi sarà la prossima miss Russia? A quest’ora di notte? Ma chi parla?... Ah, Dimitri Medvedev! Penso di poterti lasciare questa ambasciata... Dimitri, non sento molto bene. Ti dispiacerebbe abbassare un po’ il giradischi? Adesso è molto meglio, sì. Eh... Sì, sì, bene. Ti sento alla perfezione, Dimitri. La voce mi arriva chiara e senza il minimo disturbo. Anch’io non sono disturbato, vero? Bene, bene... Allora vuol dire che né io né te siamo disturbati. Bene. Sì, è una bella cosa che tu stia bene e anch’io. Sono dello stesso parere. È bello stare bene. Senti un po’, Dimitri... Ti ricordi che noi... noi abbiamo sempre parlato di questa possibilità che succedesse qualche inconveniente con la bomba? La bomba, Dimitri. La bomba atomica. Beh, insomma, è successo questo: c’è un po’ di attrito tra Israele e l’Iran e, come sai, è meglio che nel mondo regni la pace piuttosto che la guerra, perché se scoppia la guerra... Ah! Hai capito! Ma lasciami finire, Dimitri! Lasciami finire. Ma cosa credi, che io mi stia divertendo? Tu te l’immagini quello che sto passando io, Dimitri? E se no perché t’avrei telefonato? Per dirti “ciao”? Certo che mi fa piacere parlarti! Mi fa molto, moltissimo piacere... Non adesso però, un’altra volta. Adesso ti ho chiamato per dirti che è successo qualcosa di... di veramente terribile... È una telefonata amichevole, sicuro che è amichevole... eh... senti, se non fosse amichevole... eh... non te l’avrei fatta proprio. Allora cosa ne pensi?... Ah, devi raggiungere Vladimir ai provini delle aspiranti miss Russia... Dispiace anche a me Dimitri... Mi dispiace molto... Va bene, dispiace più a te che a me, però dispiace anche a me... A me dispiace quanto a te, Dimitri! Non devi dire che a te dispiace più che a me, perché io ho il diritto di essere dispiaciuto quanto lo sei tu, né più né meno... Ci dispiace ugualmente, va bene?... D’accordo. Allora sistemo tutto io. Buoni provini!»
Dopo aver riattaccato, senza concludere nulla, chiese: «Qual è il telefono degli USA?»
«Quello a stelle e strisce» disse esasperato il direttore.
Dopo averlo individuato e confrontato più volte con gli altri, alzò il ricevitore: «Pronto, W?... Ciao, sono Franco! Come sta Laura?... La prossima settimana vengo a Camp David e ci facciamo una partitina a golf... Sì, ho sentito la situazione, infatti ti telefono proprio per questo... Lo so che hai un dovere nei confronti degli elettori americani... Lo so che sei stato rieletto dopo Obama perché gli americani vogliono che prendi a calci in culo gli iraniani... Tu invece vuoi evitare la guerra? E perché?... Non vuoi che finisca come in Iraq e in Afghanistan e vuoi stare altri quattro anni alla Casa Bianca. Mi sembra un discorso sensato!... A quanto pare, quattro anni a pascolare le vacche sono serviti... Lo so che Ahmadinejad ti vede come il fumo negli occhi. Guarda, non preoccuparti, gli parlo io. Ci penso io».
«Si mette bene» disse il ministro, «lo scoglio più duro è superato. Qual è il telefono cinese?»
«Quello rosso» disse sconfortato il direttore.
«Pronto, Hu Jintao? Sono Franco Frattini... Come chi? Flanco Flattini... No, non volevo prenderti per il culo... No, mi è venuta così! Scusa... ti chiedo scusa! Senti, mettiamoci una pietla sopla... ehm, una pietra sopra! C’è un problema con l’Iran... Come ti sei rotto? Non ne puoi più dell’Iran?... Sì, quando ci siamo spartiti il mondo ti abbiamo lasciato l’Africa... No, l’Iran non è in Africa... Pronto? Ci sei ancora?»
Il ministro constatò: «Ha messo giù, sembra che la cosa non gli interessi».
Il direttore fece il punto della situazione: «Si sta mettendo davvero bene, però le rimangono solo tre telefoni: quello verde è di Gheddafi, quello con la stella di David è israeliano e quello con scritto sopra ‘Iran’ è iraniano. Ci abbiamo scritto ‘Iran’, perché a causa dei colori ci si confondeva sempre con il Messico e la Bulgaria».
«Non penso che per questa volta sia il caso di disturbare Gheddafi. Da quando è tornato al potere, a quest’ora sta sempre nella sua tenda con le sue Amazzoni. Piuttosto sentiamo i diretti interessati. Qual è il telefono israeliano?»
«Quello con la stella di David!»
Seguì un’intensa opera di convincimento diplomatico da parte del ministro. Gli argomenti erano solidi e articolati: se la guerra fosse scoppiata ci si sarebbe ritrovati in guerra ed essere in guerra non è come essere in pace, infatti, mentre durante un periodo di pace gli uomini vivono nella concordia fraterna, durante un periodo di guerra gli uomini si combattono con odio fratricida; non è meglio che regni la pace piuttosto che la guerra? Per questo è nostro dovere di governanti scongiurare le guerre e far regnare la pace. Infatti, quando regna la pace...
Alla fine per sfinimento, i due contendenti si convinsero. Netanyahu si accontentò di una fornitura di vino dei colli Albani, proveniente dai vigneti del ministro, imbottigliato con metodo Kosher, mentre Ahmadinejad accettò una fornitura di cravatte. Per sancire l’accordo si sarebbero ritrovati in zona neutrale, ad Amman, ospiti del re di Giordania.

Al termine il ministro chiuse l’intervista dichiarando: «Tutto è bene quel che finisce bene e non tutto il male viene per nuocere. A buon intenditor poche parole: a chi non vuol far fatiche il terreno produce ortiche».
«Grazie, ministro, per le sue parole. Io aggiungerei solo: forbici, coltellini e accendini non sono per i bambini».

Un altro pericolo che incombeva sull’umanità è stato scongiurato e ancora una volta grazie a un ingegno nato in Italia, la terra di Guicciardini e Macchiavelli, la terra dove sono nati il diritto e la diplomazia, la patria del volemose bene e dove, troppo spesso, tutto finisce a tarallucci e vino.

Dal nostro inviato in Medio Oriente

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