sabato 2 marzo 2013

Il dr. Home e il delirio del Presidente

Fantaparodia surreale, 28214 caratteri, versione 1.7


IL DELIRIO DEL PRESIDENTE
di
Leonardo Boselli



Ogni riferimento a persone e cose esistenti nella realtà o
a fatti veramente accaduti è da ritenersi del tutto casuale.

“Dopo le ultime fatiche causate dai lavori parlamentari e dall’attività di governo, il Presidente si è concesso alcuni giorni di vacanza per riposare ed effettuare il suo consueto check-up periodico.”
I comunicati ufficiali non aggiungono altro: poche righe relegate nelle pagine interne dei giornali. Ecco, invece, quello che è accaduto veramente.


Il Presidente stava riposando sul letto della sua stanza d’ospedale. Gli amici più cari, radunati intorno a lui, gli tenevano compagnia, scherzando, ridendo e ricordando i vecchi tempi.
A un tratto entrò nella camera il suo medico personale, il quale, con un cenno, invitò i presenti ad allontanarsi. Questi, salutando, lasciarono la stanza.
Il medico era molto preoccupato. Prima di parlare, alzò ancora una volta la lastra che teneva in mano e la osservò con attenzione contro la luce di un neon.
Il Presidente, che fino a quel momento aveva ostentato la sua solita allegria, si fece scuro in volto e chiese preoccupato: «Cosa c’è? Qualcosa non va?»
«Non ne sono certo,» rispose il medico, «c’è solo una macchiolina nel cervello. All’ultimo check-up avevo pensato che fosse un falso positivo, ma ora è più evidente.»
«Che cosa significa? Può essere grave?»
«Non sono un esperto nel campo, sono un cardiologo. Qualcosa c’è, ma occorre uno specialista.»

I primari di neurologia e di oncologia dell’ospedale furono chiamati d’urgenza. Di fronte alla lastra rimasero perplessi; ordinarono una TAC, una risonanza e altri sei tipi diversi di analisi ciascuno, ma era chiaro che non avevano idea di cosa potesse trattarsi. Fecero inoltre i nomi di alcuni esperti che era opportuno chiamare a consulto, ma non riuscirono a mettersi d’accordo su quale fosse la specializzazione più adatta a chiarire se ci fosse o meno un problema.
Il Presidente, già esasperato per essere relegato in un letto d’ospedale, mal sopportava di non avere la situazione sotto controllo, così sbottò dicendo: «Ci penso io. Voglio il miglior diagnosta al mondo.»
«Certo,» disse il primario di neurologia, «tutti i medici che abbiamo citato sono dei luminari nel loro campo.»
«No,» replicò perentorio, «io voglio il migliore. Chiamatemi il dottor Home! Non importa quanto costa, me lo posso permettere. Chiamatelo! Anzi, convocate l’intera equipe!»
Il primario, balbettando, tentò di obbiettare: «Il... il dottor Home? Ma...»
Lo interruppe il medico personale: «Certo, certo. Come abbiamo fatto a non pensarci prima. Il dottor Home, sicuramente!» e così dicendo trascinò i colleghi fuori dalla stanza.
Chiuse la porta e spiegò: «Scusate, ma quando fa così, bisogna assecondarlo. Devono essere gli effetti di quella macchiolina: sembra causare delirio d’onnipotenza e difficoltà nel distinguere la realtà dalla fantasia. Può affermare con certezza qualcosa e, dopo poco tempo, sostenere esattamente il contrario con altrettanta convinzione, per giunta dimenticando che prima la pensava in un altro modo.»
Uno dei primari commentò preoccupato: «Te n’eri già accorto? Perché non hai informato chi di dovere? Se quello che sostieni è vero, non si può lasciare la guida del paese nelle mani di una persona così instabile.»
«Pensi che non abbia detto nulla? L’ho fatto presente! L’ho comunicato al ‘grande vecchio’, ma lui mi ha fatto capire che la situazione era sotto controllo, e comunque vi consiglio di tenere riservata questa confidenza: può essere molto pericoloso rivelare certi segreti. Da me non avete saputo niente.»

Nel frattempo, i più stretti collaboratori del Presidente erano in agitazione. La richiesta era precisa: bisognava convincere il famoso dottor Home a prendere in esame un caso che poteva non interessargli. Di per sé l’impresa era già titanica, ma diventava impossibile se si considerava che il dottor Home era solo il personaggio immaginario di una serie televisiva, un ‘medical thriller’.
Gli esperti dell’unità di crisi non riuscivano a trovare una soluzione accettabile. Per il momento il Presidente era confinato nella sua camera, ma se fossero trapelate le sue pazzesche richieste, le conseguenze per il governo sarebbero state catastrofiche.
La situazione si sbloccò quando il più recente acquisto dell’unità, un ragioniere appena diplomato, propose la sua idea con la spavalderia della gioventù: «Il Presidente vuole il dottor Home. Pensavamo che dopo qualche ora avrebbe cambiato idea, ma insiste. Non resta che assecondarlo. Diamogli il dottor Home!»
Gli altri membri dell’unità si guardarono esterrefatti, convinti ormai che quella forma di pazzia fosse contagiosa. Il ‘grande vecchio’, che era presente alla riunione e aveva ascoltato tutto, interruppe la discussione e disse: «Giusto! Diamogli il dottor Home!» e, mentre usciva dalla sala, camminando appoggiato al suo bastone, aggiunse: «Il ragazzo ha delle buone idee. Promuovetelo ragioniere capo.»

Non fu facile convincere Kate Jacobsen, la produttrice esecutiva della serie “Dr. Home - Medical Division”, a interrompere le riprese della decima stagione, che ormai erano in pieno corso. Non si trattava solo di una questione di denaro, ma anche di scadenze da rispettare. Dopo notevoli pressioni, la produzione decise di lasciar partire una parte del cast: Dough Lauren, l’interprete del dottor Home; Leonard Roberts, che recitava la parte di James Milson, un oncologo suo amico; e infine, Omar Eggs e Paul Jacobs, rispettivamente Eric Loreman e Chris Daub, due membri dell’equipe del dottore.
Il costo fu notevole; il solo Dough Lauren guadagnava 400 mila dollari a episodio. Poiché la richiesta era così particolare, la produzione pretese l’anticipo di buona parte dell’onorario e l’accensione di un mutuo per il resto. Fortunatamente, il sistema sanitario nazionale prevedeva che queste prestazioni fossero per intero a suo carico e perciò non fu un problema reperire i fondi.
Quella sera stessa l’aereo presidenziale decollò dal New Jersey e sorvolò l’oceano. Il mattino dopo i quattro attori erano già pronti per prendere servizio in ospedale.

* * *
Chris Daub ed Eric Loreman si ritrovarono di fronte alla porta a vetri dello studio di Home su cui era riportata la scritta ‘Dr. Jeremy Home – MD’.
«Però! Hanno fatto le cose per bene, è tutto come sul set» disse Daub.
Loreman aggiunse: «È perfino troppo realistico. Senza la confusione della troupe e le telecamere, mi sento a disagio.»
Entrarono nello studio. Home, James Milson e il medico personale del Presidente stavano già conversando. Daub indossava il camice, mentre Loreman e Milson erano in giacca e cravatta.
Anche Home aveva la giacca, ma senza cravatta, e la camicia aperta mostrava una t-shirt blu. Era seduto alla scrivania e giocherellava con il bastone che usava per camminare, come richiedeva la menomazione alla gamba del suo personaggio. Dough Lauren era immediatamente entrato nella parte.

Il medico del Presidente si era appena presentato. «È un grande onore conoscerla, dottore. Ho seguito tutte le puntate del suo telefilm e le trovo molto istruttive» disse tendendo la mano.
Home, facendo roteare il bastone con la destra, gli rispose: «Ti ringrazio per il benvenuto e ti stringerei volentieri la mano, se la mia non fosse occupata.»
Il medico rimase perplesso e, osservando gli assistenti che erano appena entrati, aggiunse: «Benvenuti! Sono molto contento che abbiate accettato di darci... ehm, una mano per risolvere il nostro problema. Troverete tutta la documentazione in questi faldoni» disse indicando una pila di cartelle, «e il paziente è a vostra disposizione per le visite. È impaziente di conoscervi.»
«Carina questa!» ironizzò Home. «A quanto pare il paziente è impaziente, che sottile senso dell’umorismo.»
Milson, sorvolando sulla battuta, disse: «Grazie di tutto. Ora ci riuniremo per discutere il da farsi. Se avremo bisogno la chiameremo.»
Il medico sembrava titubante a uscire dallo studio. Dopo qualche istante si decise ed espose quanto gli stava a cuore: «Prima di lasciarvi, volevo sottoporvi un mio piccolo problema personale.»
Home smise di far roteare il bastone e replicò: «Ci piacerebbe tanto risolverlo, ma non siamo ginecologi.»
Milson, dopo aver lanciato un’occhiataccia a Home, rispose: «Ci dica, saremo felici di esserle d’aiuto.»
Il medico prese coraggio e iniziò a raccontare. Mentre parlava, Home aveva l’aria di un uomo la cui pratica della misantropia, ormai esercitata da una vita, era prossima al conseguimento della massima perfezione.
«Ecco, ho questo dolore...»
«Un momento,» lo interruppe Home, «facciamo un passo alla volta. Sei malato?»
«Beh, non lo so, era appunto per questo...»
«Non divagare, non ho tutta la giornata. Ho fatto una domanda molto semplice, sei malato sì o no?»
«Penso di sì.»
«È già qualcosa. E quali sono i sintomi?»
Il medico iniziò a elencare: «Bene, ho un terribile mal di testa, la mia schiena mi sta uccidendo, ho problemi nel camminare ed è comparso anche un fastidioso bubbone sotto l’ascella destra.»
Milson e gli assistenti si guardarono allarmati, mentre Home con tranquillità disse: «Non ti preoccupare, sarai morto entro un mese. Quando capiterà, non sentirai più dolore.»
Il medico, più sorpreso che preoccupato, protestò: «Speravo in qualcosa di più ottimistico!»
«Non lavoro nel ramo della speranza.»
«Ma non mi potrebbe dare qualche suggerimento su come ridurre il dolore, rimanere in vita, o altre cose utili come queste?»
Home sospirò e disse: «Il dolore è un toccasana per l’anima. Ritieniti fortunato.»
«Ma mi permetta di parlarle degli altri miei sintomi.»
«Non farlo, sono sicuramente molto noiosi! Il tuo non è un caso interessante dal punto di vista clinico. Ora lasciaci lavorare.»
Milson, più comprensivo, chiese: «C’è qualcos’altro che possiamo fare?»
«No,» rispose sconsolato, «penso che il dottore mi sia già stato abbastanza utile.»
«Faccio del mio meglio» disse Home, «e chiudi la porta dopo essere uscito.»
Il medico tolse il disturbo e chiuse la porta dietro di sé.

Milson rimproverò Home: «Per 400 mila dollari potevi almeno stringergli la mano.»
«Milson, mi stupisco di te. Sai perché ci hanno chiamati? Perché io sono il dottor Jeremy Home! Perciò devo comportarmi da Jeremy Home. Violerei il contratto altrimenti. Devo fare quello che si aspettano da me. Mi ha teso la mano, ma sapeva che non l’avrei stretta e sarebbe rimasto deluso se l’avessi fatto.»
Allora Loreman intervenne: «Io mi sto chiedendo che cosa ci facciamo qui, mi sento come un pesce fuor d’acqua e non c’è lo straccio di un copione.»
Pure Daub aveva qualcosa da dire: «Anch’io me lo chiedo. Per giunta, sono morto alla fine della nona stagione e ho superato i provini per ‘GSI: Chicago’. Mi sento fuori luogo.»
Milson lo rassicurò: «Non preoccuparti, in questo paese hanno appena iniziato a trasmettere gli episodi della stagione scorsa, per loro sei ancora vivo. Però anch’io non capisco che cosa ci facciamo qui, tutti quanti noi.»
«Ti rispondo io, Milson» disse Home. «Io sono qui perché ho dei vizi molto costosi e devo guadagnare abbastanza per mantenerli. I vizi costosi sono più esigenti delle ex-mogli. Tu invece mi hai accompagnato perché sei un buon amico e non volevi che mi annoiassi qui tutto solo. Loreman è venuto perché non vuole togliermi il piacere di smascherare le sue diagnosi sbagliate, mentre Daub è qui perché... non lo so, perché sei qui Daub? Tu sei morto!»
«La produzione si è privata volentieri di me, visto che non sono più nel cast. Inoltre, le riprese di ‘GSI: Chicago’ iniziano il mese prossimo e perciò sono libero.»
«Bene, ora che tutti sappiamo perché siamo qui,» disse Milson, «come ci regoliamo? Dobbiamo davvero studiare queste cartelle cliniche? Senza copione mi trovo anch’io un po’ a disagio.»
«Non vedo il problema» rispose Home. «Dopo dieci anni di episodi, qualche tecnica di pronto soccorso l’avrà imparata pure Loreman! Per conseguire una laurea in medicina con relativa specializzazione ci vuole molto meno tempo.»
Detto questo, si mise a cancellare la lavagna, mentre gli altri si accomodavano al tavolo occupando i loro soliti posti. Milson prese la lastra dove compariva la macchiolina nel cervello del Presidente e cominciò a osservarla controluce.
Home spronò il gruppo dicendo: «Forza, elencate i sintomi!» e iniziò a scrivere sulla lavagna.
- Manie di grandezza!
- Mania di persecuzione!
- Dice una cosa poi ne fa un’altra!
- Promette cose assolutamente irrealizzabili!
- Si convince di aver mantenuto le promesse fatte!

Home si fermò a riflettere e disse: «Noi, anche noi siamo un sintomo. Crede che il dottor Home esista davvero. Confonde la realtà con la fantasia. Ma ci dev’essere ancora qualcos’altro che non riusciamo a vedere. Servono delle analisi. Cosa proponete?»
Loreman azzardò: «Per me è sifilide. Ho sentito dire che il Presidente conduce una vita sessuale sregolata. La sifilide porta alla pazzia e tutti i sintomi la confermano.»
«Deve sperare che la sia, perché è curabile» disse Home. «Tu, che hai dei trascorsi da scassinatore, andrai a casa sua e la perquisirai. Ogni indizio può essere determinante.»
Era il turno di Milson. «Potrebbe essere un falso positivo. Io propongo di rifare la TAC.»
«Sei tu l’oncologo. Una macchia è sempre una macchia, ma è meglio che si trovi sull’obbiettivo piuttosto che nel cervello. Ti occuperai della TAC.»
Infine, venne il turno di Daub. «L’unica cosa che mi viene in mente è che sia un tumore maligno con metastasi nel cervello non ancora diffuse nel resto del corpo.»
«Questa diagnosi non serve a nulla,» commentò Home, «perché, se fosse corretta, non ci sarebbe più niente da fare. Quell’incompetente del medico personale ha sottovalutato i segnali d’allarme e ora potrebbe essere troppo tardi. Ma io escluderei la tua ipotesi, perché manca un sintomo: l’alopecia androgenetica da cui il Presidente non è assolutamente affetto, visto che ha ancora una folta capigliatura.
Aiuterai Milson con la TAC. Io invece rimarrò qui a guardare la TV: a quest’ora trasmettono le repliche della prima stagione del dottor Home, per giunta doppiate nella lingua locale, un vero spasso!»
I collaboratori uscirono dallo studio, ognuno con il suo compito da svolgere. Home rimase solo e ripeteva tra sé e sé: «Manca un solo sintomo, l’alopecia androgenetica...»

* * *
Daub si trovava accanto alla macchina della TAC vicino al Presidente, che era disteso sul lettino, pronto per essere introdotto nel solenoide. Nella saletta di controllo, assistevano all’esame il ‘grande vecchio’, sempre appoggiato al suo bastone, il medico personale del Presidente e il giovane ragioniere appena promosso ragioniere capo, mentre Milson era seduto di fronte ai monitor.
Daub chiese: «Presidente, ha qualche oggetto di metallo addosso, oppure chiodi nelle ossa, o otturazioni?»
Il Presidente lo osservò, sfoderò un sorriso che sembrava composto da 36 denti e disse con tono affabile: «Dottore, le sembra che con questo camicione io abbia la possibilità di nascondere oggetti metallici? Per il resto non ho fratture chiodate e i miei denti sono impianti in pura ceramica.»
«Vedo,» disse Daub, «lo chiedevo solo perché la TAC...»
«Io, invece, mi domandavo perché un professionista del suo calibro insiste a voler lavorare per il dottor Home. Non mi pare che dimostri di apprezzare le sue qualità, mentre, a quanto mi risulta, lei era uno stimato chirurgo plastico.»
«Sì, è così, però...»
«Secondo lei, c’è qualcosa che potrei migliorare nel mio aspetto? Ho 77 anni, anche se non li dimostro per niente, e i miei concorrenti politici sono molto più giovani di me. Devo sostenere una competizione serrata. Cosa ne pensa?»
Daub rifletté per qualche istante, pensava che il Presidente avrebbe potuto essere malato in modo serio, ma continuava a preoccuparsi solo per il suo aspetto esteriore; era proprio vero che il mondo della politica era tutta apparenza e nessuna concretezza. Poi si scosse e disse: «Non lo so, Presidente. Lei, dal punto di vista fisico, mi sembra in piena forma. Dal lato estetico, forse le orecchie, sì le orecchie sono un po’ sproporzionate.»
«Le ho già fatte sistemare. Mi hanno assicurato che di più non si può fare.»
«Allora, l’altezza» ritentò Daub. «Si potrebbero segare i femori e, mediante l’inserimento di spessori in osso anti-rigetto, si recupererebbero fino a 10 centimetri.»
«È un’operazione che si può ripetere più volte?»
«No.»
«Anche questa l’ho già fatta» ammise con amarezza. Poi cambiò discorso: «Quando potrò vedere il dottor Home? Sono impaziente di conoscerlo di persona.»
Intervenne Milson attraverso l’interfono: «Se è pronto, Presidente, cominciamo l’esame. Deve rimanere immobile per i prossimi dieci minuti.»
Il lettino cominciò a scivolare all’interno del solenoide.
«Se dovesse provare un senso di claustrofobia, è sufficiente che faccia un cenno e interromperemo subito l’esame.»

Mentre la macchina cominciava l’analisi, Home entrò nella saletta di controllo. «Come stiamo andando?»
«Abbiamo appena iniziato» rispose Milson.
Home notò il ‘grande vecchio’, che osservava tutto in disparte, e pensò che avesse un gran bel bastone, in fibra di carbonio e inserti in titanio, molto più leggero del suo; aerografato a dovere sarebbe stato perfetto.
All’improvviso entrò anche Loreman, tutto trafelato.
«Cos’è successo?» chiese sorpreso Home. «Sembra che tu sia stato rincorso da una muta di rottweilers.»
Loreman era infuriato. «Questa è l’ultima volta che ispeziono l’abitazione di un paziente per te! Prima ho dovuto scoprire dove abita il Presidente. Nel paese possiede 18 ville principesche e nove palazzi faraonici, mentre per quanto riguarda l’estero le cifre vanno raddoppiate, senza contare i cinque mausolei. Così ho scelto la residenza più vicina. Mi sono introdotto nottetempo dall’entrata secondaria come facciamo sempre, ma sono stato immediatamente illuminato dalle fotoelettriche, è comparso dal nulla un reggimento di teste di cuoio, e una muta di rottweilers mi ha inseguito per chilometri. Sono vivo per miracolo!»
«C’è un lato positivo: quando qualche studente ti dirà che ha scelto medicina perché fare il medico è un lavoro tranquillo, beh, avrai qualcosa da raccontare.»
Il ‘grande vecchio’ intervenne: «Perché non avete chiesto le chiavi? Non ci sarebbero state obiezioni.»
«Avreste fatto sparire gli indizi più compromettenti,» rispose Home, «mentre noi dobbiamo scoprire come stanno veramente le cose. I pazienti hanno una strana abitudine: mentono sempre e, se hanno qualcosa da nascondere, la nascondono. Ironia della sorte, è proprio ciò che nascondono che li fa stare male.»
Il ‘grande vecchio’ commentò sarcastico: «Questo vale anche per i politici: celano ciò che sono in realtà, perché la verità fa perdere loro voti, ma è proprio quello che sono che fa stare male il paese.»
Poi continuò: «Io non ho problemi a mostrarmi per ciò che sono: un vecchio di 97 anni. Il mio corpo cade a pezzi, ma il cervello è ancora pronto e reattivo come quello di un settantenne. L’ho sempre tenuto allenato; ho tramato nell’ombra per decenni, ho manovrato come marionette tutti questi politici senza talento, queste belle facciate imbiancate che sono utili solo per rastrellare i voti degli allocchi.
Consideriamo il Presidente. La sua vita è tutta apparenza. Ha fatto da prestanome sin da quando ha iniziato la sua attività d’impresario. Risulta multi-miliardario, ma in realtà i suoi soldi appartengono ad altri. Si fa sorprendere in compagnia di stuoli di belle donne come se non ne potesse fare a meno, ma da anni non ne sente più il bisogno. È anziano, ma vuol sembrare giovane e così si è sottoposto a molti generi di tortura: si è fatto allungare i femori per essere più alto, ma non gli basta e usa scarpe col tacco rialzato; aveva un bel sorriso a 32 denti, in ceramica, ma gli sembravano pochi e ne ha fatti aggiungere quattro; ha fatto rimuovere borse e zampe di gallina con la chirurgia estetica, ma teme che si vedano ancora e si spalma cerone a volontà; ha nascosto la calvizie con un trapianto di capelli sintetici, ma...»
Home lo interruppe: «Capelli trapiantati?»
A quel punto, Milson disse: «Analisi terminata. Ora...»
«Ora si vedono quattro macchie» disse Home completando la frase.
Milson stupito chiese: «Come fai a saperlo?»
«L’alopecia androgenetica: il sintomo mancante, la calvizie. Associata agli altri rende la diagnosi evidente: il Presidente ha pochi giorni di vita.»
Quindi Home premette il pulsante dell’interfono: «Daub, avevi i capelli sintetici a mezzo metro e non te ne sei accorto? Ma che razza di chirurgo plastico sei? Ti licenzio! Anzi, come non detto, dimenticavo che sei già morto!»
Daub scosse le spalle come per dire: “Non sono un vero chirurgo estetico, sono solo un attore, e poi adesso sono nel cast di ‘GSI: Chicago’.”
Il medico personale chiese: «Allora non c’è più nulla da fare?»
«Sì,» disse Home, «si potrebbe radiarti dall’albo! Se fosse stato diagnosticato in tempo, poteva bastare una sonda per sistemare tutto, ma adesso si è troppo diffuso. Per ora è solo nel cervello, ma presto interesserà gli altri organi. Un paio di giorni e poi...»
Milson confermò: «Purtroppo, come oncologo... beh sì, interpretando un oncologo, non posso che confermare la diagnosi di Home. Lo comunicherò io al paziente, ci sono abituato. Non c’è davvero più nulla da fare.»
Il giovane ragioniere, che era rimasto in disparte e aveva ascoltato tutto, intervenne: «Non si potrebbe eseguire un trapianto di cervello?»
Home e Loreman risero, mentre Milson spiegò con pazienza: «Un trapianto di cervello non presenta difficoltà insormontabili al giorno d’oggi, neppure per quanto riguarda il possibile rigetto, ma non si risolverebbe nulla trapiantando il cervello malato in un corpo sano.»
Il ‘grande vecchio’, che aveva seguito la spiegazione in silenzio, lo interruppe: «Questo ragazzo è un genio! Quello che ci vuole è proprio un trapianto di cervello! Da questo momento siete tutti vincolati al segreto di Stato e sottoposti alla legge marziale. Non dite nulla al Presidente e preparate la sala operatoria!»

* * *
La sala operatoria era stata allestita. L’ingresso era presidiato da guardie armate. Tutto si stava svolgendo nella massima segretezza, come aveva disposto il ‘grande vecchio’.
Home osservava la sala dall’alto. Poteva vedere i lettucci bianchi su cui erano distesi i due pazienti. Su uno di essi giaceva il Presidente. Chissà cosa gli avevano raccontato per convincerlo, forse che era possibile una nuova riduzione delle orecchie? Quella situazione non gli piaceva per niente, ma allo stesso tempo era eccitato e voleva assistere all’operazione: non gli era mai capitato di seguire un vero trapianto di cervello.
Al piano di sotto, nell’anticamera della sala operatoria, Loreman, Daub e Milson si stavano preparando.
Daub era preoccupato: «Perché proprio noi?»
Milson cercava di rassicurarlo: «Vogliono che tutto rimanga ristretto al minor numero di persone possibile. Il tempo stringe e non c’è nessuno abilitato a questo genere di operazioni in tutto il paese.»
«Noi invece lo siamo?» chiese Daub, ma la sua era una domanda retorica.
Invece Loreman, che aveva appena finito di prepararsi e indossava un camice verde, guanti in lattice e bandana, disse con orgoglio: «Io sì. Sono qualificato. Nella settima stagione ho assistito proprio a questo tipo di operazione.»
«Ma sei impazzito? Era per finta, non sei un vero medico, né tanto meno un chirurgo!»
«Certo,» disse Loreman, «avremmo dovuto portarci Chase: è lui il chirurgo dell’equipe. Io comunque gli ho fatto da assistente durante il trapianto di cervello della settima stagione. Sapete come ci tengono i produttori esecutivi al realismo della serie; mi avevano fatto seguire un corso di ben due settimane!»
Milson interruppe il battibecco: «È inutile litigare, ci tocca. Chase non c’è, e forse è meglio perché ha il vizio di far fuori i dittatori. Il tempo stringe e dobbiamo arrangiarci. Loreman che è più pratico eseguirà il trasferimento, io assisto e tu, Daub, ti occuperai dell’anestesia. Home, invece, farà il tifo al piano di sopra. Andiamo!»
Home vide i tre chirurghi entrare nella sala. Prima iniziarono a preparare il Presidente. Daub monitorava l’anestesia, mentre Loreman radeva i costosi capelli sintetici. Poi presero la sega circolare e... ma questi particolari tecnici non sono interessanti, fatto sta che il cervello malato fu rimosso e riposto nel congelatore, mentre un’apparecchiatura di supporto manteneva il corpo in vita.
Ora toccava al secondo paziente. Si avvicinarono al lettuccio su cui giaceva il donatore addormentato dall’anestesia.

Home aveva cercato di dissuaderlo. Era un’operazione difficile e il suo corpo malandato non sarebbe sopravvissuto, ma il ‘grande vecchio’ era stato irremovibile. Era quella l’unica soluzione: avrebbe donato il proprio cervello affinché il Presidente potesse vivere e continuare la sua opera. Nessuno poteva sostituirlo meglio di lui, perché erano decenni che ne guidava le scelte. Dopo tanto tramare nell’ombra, avrebbe agito in prima persona, senza dover manovrare i fili di una marionetta inanimata che, per giunta, lo metteva spesso in imbarazzo con i suoi comportamenti al di sopra delle righe.
Milson, con voce tremante, chiese a Loreman: «Sei pronto? Da questo punto in poi non si può più tornare indietro. Ripetimi come farai a eseguire i collegamenti senza commettere errori.»
«Questi sono particolari tecnici di cui non devi preoccuparti, basta fare attenzione ai codici colorati delle connessioni.»
Milson non osò chiedere altro.
L’operazione durò undici ore, fino al mattino seguente. Al termine, riposizionate le calotte, Daub procedette alla rianimazione dei pazienti, mentre Loreman si accasciava su una sedia, distrutto.
Per il ‘grande vecchio’, però, non ci fu nulla da fare. Il suo fisico debilitato non aveva retto allo stress dell’operazione e ne venne dichiarata la morte. Il Presidente invece aveva ripristinato le funzioni vitali in modo autonomo.

Ore dopo, nel reparto di terapia intensiva, gli infermieri si agitavano intorno al letto del Presidente. Erano presenti anche alcuni suoi amici intimi.
Uno di questi conversava sottovoce con Home: «Il Presidente rimarrà sconvolto dalla notizia. Lui e il ‘grande vecchio’ erano così legati! La sua dipartita ci ha colti di sorpresa. Morire così a soli... beh sì, aveva 97 anni, ma li portava bene... beh, diciamo che li portava. Il Presidente invece è stato fortunato, la rimozione della cisti benigna sembra che abbia un decorso positivo.»
A un tratto, il Presidente riprese conoscenza e si guardò intorno. Ci volle qualche minuto, ma sembrava riconoscere i volti senza difficoltà. Quando vide Home, sorrise con i suoi 36 denti e disse, con una voce ancora impastata dall’anestesia: «Signori, lasciateci. Devo parlare con il dottore.»
Rimasti soli, Home si sedette sul bordo del letto e chiese: «Come va?»
«Ho un cerchio alla testa, ma mi sento vent’anni di meno» rispose sempre sorridendo.
«Prova a muovere la mano destra.»
Dopo qualche istante, riuscì a muovere la sinistra.
«Non ti preoccupare, può succedere. È questione di alcune connessioni intrecciate, ma con qualche seduta di fisioterapia tornerà tutto normale.»
«Non so come...»
«Niente ringraziamenti. Questo era l’unico modo per salvare la vita al Presidente: qualcuno si è dovuto sacrificare. Non è da tutti avere una seconda occasione, non sprecarla.»
Poi, dopo aver riflettuto per qualche secondo, disse: «Ho, però, due richieste.»
«Tutto quello che vuoi.»
«La prima è da parte di Daub: ha paura di doversi guardare le spalle per tutto il resto della sua vita. In effetti, qualche timore ce l’ho anch’io. Nessuno ha saputo della sostituzione, a parte noi. Il fatto che il medico personale e il ragioniere capo non si siano più visti in giro ci preoccupa un po’, perché anche loro sapevano.»
«Non dovete temere. Il medico aveva sbagliato e ha dovuto pagare. La sua negligenza poteva avere gravi conseguenze, o meglio le ha avute, ma ci abbiamo messo una pezza. Il giovane, invece, era intelligente, troppo intelligente, forse anche più di me. Meglio non correre rischi. Ma voi potete stare tranquilli, se anche ne parlaste con qualcuno, chi mai vi crederebbe?»
Quindi domandò: «Qual è la seconda richiesta?»
Home voltò lo sguardo verso un angolo della stanza; laggiù era appoggiato il bastone del ‘grande vecchio’.
Il Presidente capì: «Home, prendilo pure. Te lo regalo, a me non serve più.»

F I N E

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