sabato 2 marzo 2013

A cosa stai pensando?

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A COSA STAI PENSANDO?
di
Leonardo Boselli


Il cadavere era disteso nel parcheggio dell’autogrill di Serravalle Pistoiese, direzione Firenze. Giaceva supino in mezzo ai rifiuti caduti da un cestino stracolmo, circondato da mozziconi e macchie d’olio assorbite dall’asfalto. Il suo vestito elegante strideva accanto a quella spazzatura.
Quell’uomo, stempiato e sovrappeso, doveva avere cinquant’anni, ma ne dimostrava di più. Dava l’impressione di essere benestante, forse un libero professionista, o almeno lo era stato, visto che adesso era morto. Accanto a sé aveva una pistola, una semiautomatica calibro 22, e più indietro aveva lasciato a terra due bossoli.
L’ispettore Luca Finzi, un quarantenne alto e magro, si trovava a pochi metri dal corpo, e osservava il lavoro degli agenti che stavano terminando le misurazioni. Poco lontano, una piccola folla di curiosi si assiepava dietro il nastro collocato intorno alla scena del crimine, mentre, lungo l’autostrada A11, camion e automobili sfrecciavano indifferenti in entrambe le direzioni, ignari della tragedia che si era consumata.
«Una strana storia» disse uno degli agenti all’ispettore. «Chissà perché ha sparato. Il conducente dell’auto bersagliata giura di non conoscerlo.»
Poco lontano, un giovane bruno un po' più che ventenne, vestito alla moda, era piantonato da un altro agente, in attesa di essere nuovamente interrogato. Ripeteva di non aver mai visto la vittima in vita sua, eppure quell’uomo sembrava aver sparato proprio a lui. Continuava a dire di aver avuto fortuna, perché l’auto non aveva riportato neppure un graffio. La sua vettura, una Mercedes CLS grigio metallizzato nuova fiammante, si trovava a un paio di metri dal cadavere con lo sportello del conducente aperto, mentre dietro si notavano chiaramente i segni di una brusca frenata.
L’ispettore Finzi non rispose al commento dell’agente. Era distratto e non riusciva a concentrarsi. Era tornato dalle ferie la sera prima e già si trovava alle prese con quella vicenda assurda. Ripensava al Mar Rosso, alle immersioni, a Debora con e senza bikini, alla brezza del giorno e, soprattutto, alle calde notti.
Mentre riviveva quei bei momenti, si accorse che il commissario Ghersi, suo superiore, e il medico legale Mancuso stavano tornando dal bar dell’Autogrill, dov’erano andati a bere un cappuccino.
«Fate sgomberare questa gente» ordinò il commissario agli agenti, mentre si faceva largo tra la folla. Usava sempre quel tono autoritario quando operava sul campo; sembrava burbero, però aveva un animo molto sensibile. Aiutato dalla sua corporatura robusta e dalla barba folta, era temuto dai suoi sottoposti che obbedivano senza battere ciglio, ma chi lo conosceva bene sapeva che era solo un atteggiamento di facciata.
In quel momento, però, Ghersi era davvero arrabbiato, perché poco prima era sceso dall’autogrill a ponte dal lato sbagliato, e si era ritrovato dall’altra parte dell’autostrada; quando era giunto sul piazzale, non aveva più trovato la squadra al lavoro e, disorientato, ci aveva messo parecchio a raccapezzarsi. Il medico legale, un tipo gioviale a cui piaceva molto scherzare, lo aveva seguito senza dire nulla, aveva assistito divertito alla scena e, nelle settimane successive, non avrebbe perso occasione per prenderlo in giro.
Finzi aprì il suo taccuino per esporre gli elementi che aveva raccolto fino a quel momento, ma il commissario Ghersi lo oltrepassò e si fermò a osservare il cadavere. Lo stesso fece il medico legale Mancuso, che si chinò sul corpo e cominciò a esaminarlo con attenzione.
Ghersi, distogliendo lo sguardo, si rivolse all’ispettore: «E così ieri è tornato dalle ferie. Si è divertito?»
Finzi si stupì di quella domanda, infatti il commissario parlava sempre e soltanto di lavoro con i colleghi, anche quando gli capitava di frequentarli fuori servizio.
«Sì, grazie, è stato un bel viaggio» rispose.
«Purtroppo per lei, già ricomincia la routine» aggiunse Ghersi. «Il nostro lavoro non ci concede un attimo di tregua. Quest’uomo, invece, ha finito di soffrire. Di lui non so nulla, mi è indifferente: un cadavere come ne ho visti tanti; ma tra poco lei mi dirà come si chiamava, mi racconterà chi era, che mestiere faceva, e così mi ricorderò di lui per molto, troppo tempo.»
L’ispettore rimase senza parole perché il commissario non si lasciava andare spesso a quelle confidenze, soprattutto con lui. Ghersi lo sollecitò: «Allora? Chi era e cosa ci fa qui a terra morto?»
Finzi si scosse e cominciò a sfogliare i suoi appunti. «Si chiamava Roberto Maritali, aveva 53 anni e l’obbligo di guidare con le lenti. Addosso, oltre alla patente, gli abbiamo trovato solo un mazzo di chiavi e un cellulare.»
In quel momento il medico ricoprì il corpo con un lenzuolo e si alzò. Sembrava perplesso e, rivolto ai due poliziotti, disse: «Dopo quest’ulteriore esame superficiale, mi sento di confermare un infarto. I segni sono evidenti, ma naturalmente solo con l’autopsia potrò affermarlo con certezza.»
Ghersi replicò stupito: «Il Maritali ha sparato due colpi in aria ed è morto per un infarto?»
«Così sembrerebbe. D’altra parte non è abbastanza anziano per essere morto di vecchiaia,» disse con una vena d’ironia, «non è stato investito dall’automobile e non ci sono fori di proiettili, né altre ferite o contusioni evidenti. Comunque, ora lo prendo in carico e nel pomeriggio ti faccio avere il referto completo.»
Il commissario, sempre più perplesso, chiese a Finzi di esporgli la dinamica dell’accaduto.
L’ispettore cercò sul taccuino, poi disse: «Nessun testimone ha assistito alla scena dall’inizio. Solo un camionista ha dichiarato di aver visto la vittima, appena uscita dall’autogrill, correre in direzione del parcheggio; se ne ricorda perché è stato spinto di lato con forza. Tutti concordano sul fatto di aver udito due colpi di pistola in rapida successione, e molti, richiamati dagli spari, hanno visto la vittima accasciarsi al suolo, mentre sopraggiungeva la Mercedes del Bresso che, per evitare l’investimento, ha frenato bruscamente.»
«Il Bresso?»
«Sì, l’uomo che guidava l’auto. Aspetta laggiù. Dice di non avere idea di chi fosse il Maritali e del motivo per cui ce la poteva avere con lui.»
Si voltarono dove indicava Finzi e videro il giovane elegante che fumava una sigaretta dopo l’altra; stava chiedendo per l’ennesima volta all’agente che lo piantonava quando se ne sarebbe potuto andare.
Mancuso, divertito, disse al commissario: «Ecco un bel mistero su cui arrovellarti. Hai una vittima che ha sparato ed è morta d’infarto, ma c’è anche un presunto colpevole in stato di choc, che dice di non conoscere il suo aggressore e di essere lui la vittima.»
«Senza contare che gli ha salvato la vita, almeno per qualche momento,» aggiunse Finzi, «visto che ha fatto di tutto per evitare d’investirlo.»
Il medico commentò sardonico: «Non credo l’abbia fatto per altruismo. Penso che non volesse ammaccare l’auto nuova.»
Ghersi allora ebbe un’idea e, interrompendo lo scambio di battute, domandò: «Siamo sicuri che l’auto sia del Bresso? Quel giovane potrebbe aver rubato l’auto, ma il proprietario se n’è accorto in tempo e ha tentato di fermarlo.»
«Ho controllato,» disse Finzi, confutando subito quell’ipotesi, «il libretto di circolazione della Mercedes è intestato al Bresso.»
Il commissario, deluso, si mise a cercare qualche altra spiegazione. Intanto l’ispettore si chinò sul corpo senza vita per recuperare il cellulare della vittima; dopo averlo preso, lo rigirò tra le mani, e disse: «Volevo dare un’occhiata al telefonino per recuperare qualche informazione in più, ma non riesco neppure ad accenderlo.»
Anche il commissario provò ad armeggiare col cellulare, ma senza ottenere alcun risultato; allora intervenne Mancuso e disse: «Lascia fare a me. Cosa vuoi capirci tu che hai ancora un Nokia con display in bianco e nero. Per queste cose ci vogliono uomini di scienza.»
Ghersi si arrese. Nonostante i corsi di aggiornamento, era allergico agli ultimi ritrovati della tecnologia. Passò il telefonino al dottore, mentre si domandava perché si era esposto a quell’ulteriore motivo di scherno.
Mancuso inforcò gli occhiali e impugnò il cellulare con decisione. Con due rapidi tocchi il display si illuminò e il medico iniziò a spiegare: «È un bel terminale, un Samsung Galaxy. È un modello che ormai ha ben più di un anno, ma fa ancora il suo lavoro. C’è installato un Android non aggiornato e si dice che la batteria non abbia una gran durata, ma quale smart phone non mette a dura prova la batteria?»
«Smart cosa?» chiese Ghersi confuso, mentre Finzi si godeva la scena.
«Non hai mai visto la pubblicità con Totti? Smart phone! Lo sa dire pure lui» disse Mancuso ridendo.
Il commissario bofonchiò di tifare per la Lazio, invitò il dottore a tagliar corto e a tirar fuori qualche informazione utile.
Il medico continuò: «Siamo fortunati: non ha impostato il segno di sblocco e abbiamo libero accesso.»
Poi dopo aver passato il pollice su ogni porzione del touch screen, disse: «La fortuna non ci abbandona. Il browser ha le password memorizzate. Posso aprire l’agenda, i contatti, collegarmi a internet. Con un tap su questa icona accedo perfino al suo profilo su Facebook.»
«Non ho capito una parola, ma continua.»
I due poliziotti seguivano da vicino le evoluzioni del pollice del dottore. Sullo schermo comparivano icone e finestre, sembrava che tutta la vita di quell’uomo steso sull’asfalto fosse accessibile senza alcuna protezione: potevano vedere appuntamenti vecchi di mesi e consultare quelli delle prossime settimane, leggere la rubrica e l’elenco delle ultime chiamate, i testi dei messaggi SMS e i siti internet visitati di recente. Ma il meglio arrivò quando il dottore visualizzò il profilo su Facebook e la vita di quell’uomo non ebbe davvero più segreti. Amicizie, messaggi, post in bacheca, fotografie delle vacanze e della famiglia, hobby, gusti musicali, orientamenti religiosi e politici: tutto era allo scoperto, vulnerabile, inerme come la polpa di un dente esposta alla punta di un trapano.
Dopo quella dimostrazione, Finzi pensò che doveva assolutamente impostare il codice d’accesso del suo cellulare; Mancuso concluse che Android era molto meglio di Windows Mobile; Ghersi non ci capì nulla, se non che gli smart phone non facevano per lui.
L’indagine diede subito i suoi frutti. Si scoprì che Roberto Maritali era un rappresentante di gioielli, possedeva anche lui una Mercedes CLS grigio metallizzato acquistata da poco, a cui aveva dedicato un intero album di foto su Facebook, e quella mattina aveva appuntamento con un facoltoso cliente, al quale stava portando il suo campionario.
«Questo spiegherebbe tante cose» disse il commissario. «Abbiamo stabilito che quest’auto non è della vittima. Forse dall’alto dell’autogrill ha visto il giovane, il Bresso, aggirarsi intorno all’automobile che credeva sua e, quando ha visto che c’è salito sopra, avrà pensato che gliela stesse rubando. Il modello è simile. Deve essere sceso di corsa, ha cercato di fermarlo sparando in aria, ma il suo cuore non ha retto allo stress. A causa della dinamica dell’incidente, la natura del malore non è stata diagnosticata prontamente e il rappresentante è morto.»
Finzi sembrava convinto da quell’ipotesi: «Una bella sfortuna. Quante probabilità c’erano di incontrare un’auto identica alla propria?»
Ma il dottor Mancuso obiettò: «Non sono molte, un evento del genere non è impossibile, anche se è altamente improbabile. Però mi sembra strano che sia caduto in un simile equivoco: se nell’auto custodiva il suo campionario e ci teneva così tanto, dopo averla parcheggiata, avrà cercato di tenerla d’occhio. Si sarebbe accorto della presenza di due vetture identiche.»
«Anch’io ho questo dubbio,» disse il commissario, «ma se l’ipotesi fosse vera, c’è anche un altro mistero: dov’è la Mercedes del Maritali? Per ora l’ho vista solo nelle foto su Facebook!»
Nei parcheggi intorno, tra i curiosi che ancora si soffermavano a guardare, e gli automobilisti che andavano e venivano dal bar e dai servizi igienici, quel modello non si vedeva, eppure era decisamente vistoso.
Nel frattempo, il medico, che aveva continuato a curiosare nelle pagine di Facebook del defunto, disse: «È triste pensare che nessuno potrà più aggiornare questo profilo. Vado spesso a verificare se qualcuno a cui ho fatto l’autopsia ha lasciato qualche traccia su internet, è una mia mania, ma è la prima volta che riesco a vedere davvero tutto. Ho anche dato un’occhiata a Google Maps; c’è perfino impostato un tragitto da Firenze a Lucca, un viaggio che ora non potrà più portare a termine.»
«Stava andando a Lucca?»
«Sì, nei messaggi si parla di un appuntamento con un cliente di Lucca per questa mattina.»
«Ma allora cosa ci fa a Serravalle Sud, nel parcheggio in direzione Firenze?»
I tre si voltarono e guardarono oltre l’autostrada. La Mercedes CLS grigio metallizzato nuova fiammante di proprietà del Maritali doveva essere dall’altra parte, nel parcheggio di Serravalle Nord, in direzione Pisa.
Mancuso ebbe la conferma che per ogni mistero c'era sempre una spiegazione logica, e commentò ironico: «Basta un attimo di disattenzione ed è facile confondere i parcheggi, vero Ghersi?»

Il corpo venne rimosso; i pochi curiosi rimasti continuarono il loro viaggio e la vita dell’autogrill riprese come sempre.
Il dottor Mancuso pensò che, di quell’assurda vicenda, non avrebbe parlato nessun TG, forse qualche giornalista avrebbe pubblicato un trafiletto sui quotidiani locali, e per poco tempo sarebbero rimasti i segni dei rilievi della scientifica sull’asfalto, tra vecchie macchie d’olio, a pochi passi da una brusca frenata.
Quel pensiero lo fece riflettere. Prima di restituire il cellulare ai poliziotti, scrisse un messaggio su Facebook nello spazio marcato con “A cosa stai pensando?” e subito, sulla bacheca di Roberto Maritali, morto da un paio d’ore, comparve il messaggio: “La vita è un'ombra che cammina, un povero attore che si agita e pavoneggia la sua ora sul palco e poi non se ne sa più niente. È un racconto narrato da un idiota, pieno di suoni e furore, significante niente (Shakespeare)”.

F I N E

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