domenica 3 marzo 2013

L'isola dell'impiccato

Horror, 36900 caratteri, versione 1.0


L’ISOLA DELL’IMPICCATO
di
Leonardo Boselli


Il capitano Eastman camminava nervosamente sul ponte del "Saint Andrew", un tre alberi battente bandiera inglese. Intabarrato nella sua divisa, col tricorno calcato sul capo e la sciabola che gli pendeva al fianco sinistro, si muoveva tra i marinai affaccendati con un'agilità notevole, nonostante la gamba di legno. Il suo passo riecheggiava sulla tolda e sembrava imitare il battito di un cuore, come se quel semplice passo ritmato desse vita all'intero veliero.
Dopo aver percorso la nave da prua a poppa, il capitano salì la scaletta che portava sul castello e si mise a osservare, appoggiato al parapetto, l'isola poco distante, sui cui bassi fondali la nave aveva da poco gettato l'ancora. Il sole già alto risplendeva sull'oceano e illuminava la costa. Poche nubi sottili si profilavano a settentrione: anch'esse sembravano attendere un soffio di vento per spostarsi verso lidi meno afosi.
Eastman aveva già navigato in quelle acque quand'era un allievo ufficiale sedicenne. Ora, dopo quasi un quarto di secolo, ripassava il profilo dell'isola e si stupiva di ricordare ancora ogni particolare: la spiaggia, gli alberi che la delimitavano e, sopra di essi, le ripida cima vulcanica. Non era cambiato nulla, come se il tempo non fosse trascorso. E non era passato neppure il senso d'angoscia che quelle rive ancora gli incutevano: la reminiscenza di un'antica colpa gli tormentava l'anima, come in certe notti lo perseguitava un fastidioso prurito alla gamba destra che non riusciva a placare, perché quella gamba non l'aveva più.
John Hill, il nostromo del vascello, si accostò al capitano. Come molti membri dell'equipaggio era preoccupato e, al contrario degli altri, non lo nascondeva.
«Capitano, cosa pensa di fare?»
Ormeggiati da due giorni a un ottavo di miglio dalla costa, avrebbero potuto essere avvistati dalle navi spagnole che davano loro la caccia. La guerra di corsa aveva quella caratteristica: preda e cacciatore si scambiavano spesso i ruoli, e in quel frangente il "Saint Andrew" era la preda.
Eastman si sentiva al sicuro a causa della fama di "mangiatrice di navi" che l'isola s'era conquistata a suon di naufragi negli ultimi anni. I capitani dei galeoni spagnoli si sarebbero tenuti alla larga da quelle secche pericolose, a meno che non fossero stati obbligati dagli eventi. Infatti non si poteva prevedere il comportamento d'un equipaggio in mare da mesi: il desiderio di catturare una ricca preda poteva avere il sopravvento sulla prudenza.
Comunque lo scafo spezzato di una nave francese era ancora ben visibile, come monito per i marinai, sulle secche al largo delle rive sabbiose dell'isola. Si aveva notizia anche di altre imbarcazioni naufragate in quel luogo di cui però non restava alcuna traccia, ormai inghiottite da quei fondali insidiosi.
Il capitano, dopo aver riflettuto a lungo, rispose al nostromo: «Pazienza. Ci vuole pazienza. La spedizione non può tardare: sono certo che stanno per tornare».
Attendevano da tempo, tuttavia il dottor Jackson, il secondo ufficiale Kirkland e due marinai, sbarcati per una perlustrazione, sembravano spariti nel nulla.

* * *
Il giorno prima, il medico di bordo aveva deciso che era giunto il momento di sgranchirsi le gambe e dare sfogo alla sua passione. Era infatti un entomologo dilettante. Si divertiva a raccogliere ogni genere d'insetti tutte le volte che aveva occasione di scendere a terra su qualche costa poco esplorata.
Quando giunsero in prossimità dell'isola, il dottor Jackson cominciò a pregustare il piacere d'infilzare centinaia d'invertebrati di ogni specie sulle sue bacheche. A lui non interessavano le superstizioni dei marinai: mormoravano di una misteriosa maledizione che aveva reso quella piccola isola un luogo insidioso per la navigazione.
Il veliero aveva appena gettato l'ancora e il medico già scalpitava. Quindi il capitano Eastman concesse a una parte dell'equipaggio di sbarcare, poiché la nave, per poter ripartire, avrebbe dovuto attendere l'alta marea e un rinforzo di vento. Il dottore ne avrebbe approfittato per le sue ricerche, accompagnato del secondo ufficiale e da un paio di marinai, mentre altre squadre avrebbero provveduto a raccogliere frutta fresca e a fare rifornimento d'acqua dolce.
Erano le dieci del mattino quando le scialuppe si staccarono dal veliero per dirigersi verso l'isola. Avrebbero dovuto far ritorno un'ora prima del tramonto. Tutte lo fecero tranne una: la barca del medico di bordo.
* * *
«Dottore, cosa sono tutti quegli strumenti che si sta portando appresso?»
Bob, un marinaio sulla trentina già alla sua quarta crociera intorno al mondo, osservava incuriosito l'armamentario del medico con l'unico occhio che gli restava, mentre remava con foga.
«Mi servono per raccogliere gli esemplari», disse il dottor Jackson. «A questo proposito, mi dovrete dare una mano».
Jeff, l'altro marinaio, di dieci anni più anziano del collega, che cercava di seguire il ritmo di voga del compagno, ma era impacciato dall'uncino che portava al braccio sinistro, chiese sospettoso: «Una mano... per cosa?»
«Per catturare gli esemplari!»
Il secondo ufficiale Kirkland, che assieme al dottor Jackson completava il pittoresco quartetto di quella spedizione, spiegò ironico: «Mentre le altre scialuppe riforniranno la nave d'acqua, noi dobbiamo fare incetta d'insetti».
Kirkland si divertiva a canzonare il dottore per le sue manie e Jackson da parte sua ricambiava volentieri le battute di spirito e i suoi frequenti sfottò. I due erano coetanei, entrambi trentacinquenni, ma i loro caratteri erano molto differenti. Il medico infatti aveva un aspetto trasandato e non badava mai alla forma; l'ufficiale invece aveva estrema cura del proprio aspetto, come dimostrava la sua uniforme, impeccabile anche sotto il sole dei tropici.
«Signor Kirkland», replicò il dottore, «su quest'isola l'uomo mette piede raramente. Su di essa potrebbero vivere specie ignorate dal mondo civilizzato. Chissà quali scoperte ci riserverà questa giornata!»
Bob si intromise e chiese, tra un colpo di remo e l'altro: «Esemplari? Specie? Ma di cosa?»
«Insetti!», ripeté Kirkland. «Il dottore è un collezionista d'insetti». Alla vista della faccia dubbiosa del marinaio, che si intravedeva anche sotto la benda che gli copriva l'occhio destro, aggiunse: «Insetti! Come formiche, zanzare, mosche, tafani, ragni...»
«Mi dispiace contraddirla, signor Kirkland», puntualizzò il dottor Jackson interrompendo l'elenco dell'ufficiale, «ma i ragni non sono insetti».
«Non sono insetti? E cosa sono?»
«Aracnidi!»
Nel frattempo la scialuppa era giunta in prossimità della riva. Il secondo ufficiale, che si chiedeva quale differenza ci fosse tra aracnidi e insetti, non replicò al dottore e ordinò ai marinai di ritirare i remi, di scendere in acqua e di trascinare la barca in secca. Dopo che furono saltati, li seguì a sua volta.
Il gruppo si trovò su una lunga spiaggia sabbiosa di fronte alla giungla. Le prime piante erano alte palme da cocco, poi le specie vegetali si sovrapponevano in un groviglio inestricabile. Alle loro spalle, il veliero alla fonda attendeva l'alta marea e l'agognato rinforzo di vento. Poco più lontano alcuni equipaggi delle scialuppe stavano sbarcando, altri ormeggiavano le loro imbarcazioni.
* * *
Il capitano Eastman si svegliò nel cuore della notte dopo un terribile incubo. La sua cuccetta era ridotta a un lago di sudore.
Il mattino seguente avrebbe dovuto formare una squadra di soccorso e mandarla alla ricerca dei dispersi. Operazione che l'oscurità aveva reso impossibile la sera precedente.
L'incubo gli aveva lasciato un senso d'angoscia e oppressione. Prese un taccuino per fissare il sogno sulla carta, com'era solito fare per evitare di dimenticarli.
"Dunque", pensò, "com'era iniziato? Ha cominciato in un modo e poi è andato a parare in tutt'altra direzione... Ah, sì!"
Scrisse quasi di getto per un paio di minuti, poi rilesse.
"Mi trovavo sul ponte del mio primo imbarco. Accanto a me c'era il vecchio capitano Abrams, più irrequieto del solito. Guardavamo la spiaggia dell'isola. Io notai un'unica scialuppa in secca e chiesi chi mancasse ancora all'appello. Il capitano mi rispose brusco che il giovane ufficiale Eastman non era ancora tornato e che l'avrebbe messo ai ferri, dopo averlo frustato, non appena si fosse fatto vivo.
Allora tornai a osservare la spiaggia e vidi un gruppo di uomini che correvano. Davanti a loro c'era un giovane che procedeva zoppicando: ero io a sedici anni. Cercavo disperatamente di raggiungere la scialuppa assieme agli altri, perché qualcosa ci stava inseguendo. Non capivo cosa fosse, ma era orribile ed enorme. Ogni uomo che veniva raggiunto spariva inghiottito, e la cosa aumentava a dismisura le sue dimensioni. Alla fine raggiunse anche il me stesso che correva, a pochi passi dalla scialuppa.
Quindi mi voltai verso il vecchio capitano, ma era scomparso. Mi accorsi di non trovarmi più sulla nave, bensì sull'isola, proprio in cima. Potevo dominare dall'alto la foresta e osservare il mare tutt'intorno, a perdita d'occhio. Vidi anche un vascello che si allontanava e che era ormai giunto all'orizzonte. Pensai che non avrebbero dovuto lasciarmi lì.
In quel momento sentii qualcosa alle mie spalle, mi voltai e mi trovai ai piedi di una forca in una radura nel cuore della giungla. A quella forca era appeso un corpo. Era di spalle e dondolava. A ogni oscillazione si girava un poco. A un tratto lo riconobbi: era Abrams. Il vecchio capitano aprì gli occhi, deformò la bocca in un ghigno, come se volesse parlare, ma non fece in tempo: mi sono svegliato".
Quell'incubo aveva rimescolato nella mente di Eastman ricordi e premonizioni. Aveva tentato di annotare più particolari possibili ed era solito parlare dei suoi sogni col medico di bordo il mattino dopo, perché entrambi ritenevano che l'attività onirica nascondesse significati importanti. Si ricordò, però, che quel giorno non avrebbe incontrato il dottor Jackson nel quadrato ufficiali. Invece, avrebbe dovuto andare alla sua ricerca su quell'isola maledetta.
* * *
«Questa foresta è particolarmente intricata, signor Kirkland».
I quattro uomini stavano procedendo a fatica nel sottobosco a furia di colpi di machete.
«Non lo dica a me. Io amo gli spazi aperti, l'oceano, e queste piante così fitte mi tolgono il respiro».
Bob e Jeff, i due marinai, stavano aprendo un passaggio tra le liane e i rami bassi degli alberi. Tacevano perché erano senza fiato per la fatica, e non in senso metaforico.
L'ufficiale si diede una sonora manata sul collo. S'era accorto d'un grosso tafano che gli stava succhiando il sangue.
«Non abbiamo già incontrato abbastanza insetti, dottore?»
«Tutte queste sono specie molto comuni. Quelle interessanti devono essere all'interno».
Procedettero lentamente per alcune centinaia di metri nella semioscurità della giungla, finché finalmente giunsero in un'ampia radura. Il cielo si aprì sopra di loro, azzurro come non mai, e il sole illuminò uno spiazzo circondato dagli alberi della foresta.
«È strano che questo prato non sia stato invaso dagli alberi», disse l'ufficiale.
Dal terreno spuntavano fiori d'ogni colore, visitati da minuscole forme di vita che raccoglievano il nettare e operavano inconsapevoli l'impollinazione. C'erano fiori rossi dai petali carnosi, piante a foglia larga con corolle viola, orchidee multicolori, e vistose piante dai grossi petali gialli e fusti spinosi molto robusti.
«Questo è il luogo ideale per la raccolta», constatò il dottore.
Sistemò il suo leggero tavolino da campo con annesso un treppiede per sedersi presso un albero secco al centro della radura, l'unico che spuntasse in quell'area.
Kirkland fu incuriosito dalla strana forma di quella pianta disseccata. «Sembra quasi una forca», disse.
«Che fantasia, signor Kirkland», lo rintuzzò il medico. «È solo un albero morto da decenni. L'acidità di questo terreno non dev'essere favorevole alle piante d'alto fusto».
Dopo aver sciorinato le sue conoscenze botaniche, Jackson consegnò due retine ai marinai.
«Ecco, raccogliete quanti più insetti potete. Se alcuni di essi dovessero sembrare ai vostri occhi particolarmente stravaganti, portatemeli subito».
Bob e Jeff, che speravano di riposarsi dopo la faticosa traversata, si ritrovarono invece in mezzo al campo con le retine in mano. Cominciarono a muoversi un po' goffamente da un fiore all'altro agitando il loro attrezzo senza molto successo, ma già dopo una mezz'oretta avevano preso confidenza e, con leggiadria, riuscirono a catturare numerosi coleotteri dalle sgargianti livree.
Il lavoro di cattura riusciva piuttosto bene a Jeff, aiutato dalla precisione con cui riusciva a manovrare il suo uncino. Si stava appassionando e si stupiva nel vedere quanti diversi tipi di esseri microscopici esistessero in quel fazzoletto di terra. In navigazione si accorgeva solo dei topi e dei fastidiosi mosconi dal dorso verde cangiante che infestavano la stiva, ma adesso stava scoprendo un intero universo in una piccola radura.
Bob invece era decisamente penalizzato. Il suo essere guercio gli impediva una corretta valutazione delle distanze e i tentativi di cattura si riducevano spesso a fendenti infruttuosi.
Il secondo ufficiale osservava divertito le evoluzioni dei marinai. «Chi l'avrebbe mai detto... degli uomini così grandi e grossi, eppure...»
«Lei sottovaluta le persone, signor Kirkland. Quando un'occupazione è interessante e meritoria come questa, gli uomini dimostrano di possedere notevoli qualità. Ma ora mi dia una mano: devo inscatolare tutti questi insetti. Molti coleotteri non li avevo mai visti; neppure sui volumi del Buffon ce ne sono di così belli».
Kirkland si sedette sul secondo treppiede a prese a rovistare nei contenitori che i marinai continuavano ad approvvigionare. Superò un primo moto di ribrezzo nel vedere un enorme millepiedi che si contorceva senza posa sul tavolino e lo stipò in una delle scatolette che il dottore gli aveva fornito. Non era un'occupazione degna di lui, pensava, ma quel pomeriggio doveva pur trascorrerlo in qualche modo.
«Molto bene, signor Kirkland. Anche lei dimostra di essere portato per l'entomologia», disse Jackson con un sorriso ironico.
«Se apre ancora bocca, dottore, la lascio qui da solo coi suoi leggiadri aiutanti a inscatolare mostriciattoli».
* * *
Il capitano Eastman, con la gamba di legno puntata sulla prua della scialuppa, regolava il ritmo di voga. La riva ormai distava poche decine di metri.
Aveva lasciato il veliero al comando del terzo ufficiale perché voleva guidare personalmente le operazioni di ricerca. Era stato su quell'isola un quarto di secolo prima e non ci teneva a calpestarne di nuovo la sabbia, soprattutto dopo l'incubo di quella notte che aveva reso vividi alcuni brutti ricordi ormai sopiti, tuttavia il suo secondo ufficiale e il dottore di bordo erano laggiù, da qualche parte. Doveva ritrovarli: gli servivano per continuare la navigazione; non si sfugge a una flotta di veloci navi da guerra senza l'equipaggio al completo e in piena efficienza.
Sbarcata sulla riva, la squadra di soccorso, composta da una decina di uomini con alla testa il capitano e Hill, il nostromo, iniziò ad addentrarsi nella giungla.
Le tracce dei dispersi erano evidenti. Non fu difficile procedere nell'intrico di tronchi e liane attraverso il varco aperto dai machete. In breve tempo giunsero alla radura dov'era iniziata la raccolta degli insetti.
Eastman riconobbe immediatamente il tronco contorto al centro del prato e la gamba di legno riprese a dolergli. Dopo tanti anni, era rimasto solo uno scheletro legnoso, ma con gli occhi della mente rivide l'intera forca e l'impiccato col volto contratto dagli ultimi spasmi. Scacciò quell'immagine e diede ordine agli uomini di perlustrare la zona.
Il gruppo esplorò il perimetro di quel campo, così insolitamente sgombro dalle piante d'alto fusto, ma non furono trovate altre tracce lungo il limitare degli alberi. C'era solo un'area, al centro della radura, nei pressi della forca, dove la terra era smossa, un tavolino era rovesciato e una grande quantità di contenitori era stata sparsa tutt'intorno.
John Hill, come suo solito, non manifestava molto ottimismo: «Capitano, siamo in un vicolo cieco. Qui è successo qualcosa di terribile».
Eastman stava meditando sul da farsi. Aveva attraversato la boscaglia e perlustrato la radura manovrando la sua gamba di legno con sorprendente agilità, ma nonostante i suoi sforzi non aveva concluso nulla. E i marinai mugugnavano, avevano paura che capitasse anche a loro la sorte misteriosa che era toccata ai quattro dispersi. Temevano di essere i prossimi a provare sulla loro pelle la potenza della maledizione che aleggiava sull'isola.
Il nostromo sconfortato si tolse il tricorno e si asciugò il sudore della fronte, quindi osservò con attenzione il tronco al centro del prato e si accorse di una scritta dove il fusto era stato scorticato: "Qui fu giustiziato il Capt. Jeremy Abrams. Che Dio abbia pietà della sua anima". In calce alla scritta seguiva la data.
«Capitano», disse ad alta voce John Hill, «abbiamo trovato la forca sulla quale è stato impiccato il capitano maledetto!»
* * *
Il lavoro di catalogazione e stoccaggio continuava alacremente. Da qualche tempo Bob e Jeff non riuscivano più a trovare specie d'insetti che non avessero già catturato in precedenza. Sembrava che quell'impresa interminabile avesse in realtà una fine.
Kirkland si terse il sudore con un fazzoletto, che ripose in una tasca della giubba, e osservò il sole che ormai scendeva dietro le cime degli alberi più alti. Il tramonto non era imminente, ma la radura era circondata dalla giungla e le sue propaggini si trovavano già in ombra.
«Tra poco avremo un po' di refrigerio», disse il secondo ufficiale, che ormai aveva a noia la sua divisa elegante.
«Così pare», constatò il dottore indaffarato a inseguire con una pinzetta un grosso scarafaggio marrone.
Bob e Jeff si riposavano al riparo dei primi alberi, appoggiati alle aste delle retine, e si accorsero che uno strano fenomeno stava avendo luogo nella radura.
L'ombra degli alberi vicini avanzava sull'erba e al suo passaggio, gli insetti fuggivano come se qualcosa li avesse terrorizzati. Allo stesso tempo, le piante dotate di fiori richiudevano i petali in robuste capsule e le foglie si accartocciavano su se stesse.
L'azione era quasi immediata: sopraggiungeva l'ombra e le forme di vita animale, che prima brulicavano, sparivano dalla vista e i vegetali si rattrappivano. Solo le piante dai robusti fusti spinosi e gli appariscenti fiori gialli continuavano a fare bella mostra di sé.
«Che succede, Jeff?»
«Non lo so», rispose Bob preoccupato.
Anche il dottore si accorse di quella calma mortale calata sulla radura. «È un evento molto strano», commentò.
«È come se quelle bestie fossero consapevoli di un pericolo imminente», disse Kirkland.
A un tratto le piante dai fusti spinosi che erano state raggiunte dall'ombra aprirono le capsule alla base dei loro fiori. Dopo pochi istanti spruzzarono in ogni direzione un liquido biancastro, e le piante della stessa specie raggiunte da quegli schizzi facevano altrettanto.
Sembrava di assistere a una serie di scoppi a raffica, una combinazione di fuochi artificiali.
I piccoli animali che incautamente si erano attardati sul prato, bagnati dal liquido, si contorcevano e i loro carapaci iniziavano a corrodersi. Lo stesso capitò al primo sottobosco e ai teneri germogli che, timidamente, erano spuntati in giornata nella radura: si bruciarono all'istante. Tutte le superfici ustionate si disfacevano e rilasciavano fumi. Invece i vegetali che avevano reagito con prontezza all'arrivo dell'ombra, e posto le parti più delicate al riparo di scorze coriacee, sembravano immuni all'azione di quell'acido.
In un attimo anche le piante spinose che circondavano i quattro "naturalisti" reagirono ed essi furono investiti dagli spruzzi: i vestiti e la pelle iniziarono immediatamente a corrodersi. Tentarono di ripararsi, ma gli schizzi provenivano da ogni parte. Si misero a correre, ma presto caddero contorcendosi per il dolore. Era vano ogni tentativo di ripulirsi. In poco tempo la loro agonia terminò e anche le loro urla cessarono.
Quando quello strano fenomeno si concluse, tornò il silenzio nella radura. I fiori delle piante dal fusto spinoso rilasciarono lentamente una nuvola di spore. Sostenute dall'aria, si sparsero tutt'intorno e si depositarono anche sui corpi dei quattro malcapitati. In poco tempo diventarono un tutt'uno con la carne corrosa.
Nel frattempo, ombre misteriose si muovevano nell'oscurità della giungla. Avevano osservato la squadra al lavoro e atteso con pazienza che il sole calasse dietro le cime degli alberi. Ora che tutto era finito, stavano per uscire all'aperto.
* * *
Dopo la scoperta della forca del capitano Abrams, la paura si diffuse tra i marinai. John Hill era il più convinto: dovevano abbandonare al più presto l'isola, perché dei dispersi non c'era alcuna traccia e, qualunque fine gli fosse toccata, non si poteva fare più nulla per loro.
Eastman cercò di stemperare la tensione. «Cosa temete, uomini? Il capitano Abrams è morto da più di vent'anni. L'ho visto con i miei occhi pendere da questo albero. Lo abbiamo lasciato qui, in pasto agli uccelli rapaci, perché del suo corpo non restasse nulla, se non poche ossa spolpate».
Il nostromo fu stupito da quella affermazione. «Lei era presente quando Jeremy Abrams fu impiccato?». Non sapeva di quel trascorso del suo capitano e la rivelazione l'inquietò non poco.
«Sì, io c'ero!»
«Lei quindi è uno degli ammutinati del "Santa Caterina"?»
Eastman, con un po' di titubanza, annuì. Non era mai una buona idea far sapere al proprio equipaggio che in gioventù un capitano poteva aver fatto cose deprecabili, ma ora il nostromo l'aveva messo alle strette.
I marinai si radunarono attorno a Eastman per ascoltare meglio e Hill, invece di scandalizzarsi, si fece ancora più attento. Iniziò ad accavallare domanda su domanda, finché il capitano non decise di raccontare tutto ciò che era successo sull'isola tanti anni prima: la vera storia, non i resoconti romanzati che i marinai ubriachi si tramandavano nelle bettole dei porti.
Allora Jeremy Abrams era già un vecchio capitano. Era noto per la sua crudeltà nei confronti degli equipaggi. Li comandava con pugno di ferro e le punizioni corporali erano all'ordine del giorno. Con l'età era peggiorato sempre più. Quando impazzì completamente, Eastman era un sedicenne allievo ufficiale ai suoi comandi.
Il capitano continuò il suo racconto. «È così. Lo abbiamo impiccato proprio a questo albero morto», e ne indicò i pochi rami rimasti, scorticati dalle intemperie. «Volevamo che tutti i velieri di passaggio vedessero il corpo di Jeremy Abrams pendere dalla forca, a futura memoria. Per questo s'era deciso d'impiccarlo sulla cima più alta dell'isola. Era nostra intenzione vendicare tutti i marinai che aveva fatto fustigare, tutti i giri di chiglia che avevano subito, tutti gli uomini morti per la sua follia. Nessuno avrebbe più avuto il coraggio di governare un equipaggio a quel modo».
«Com'è possibile che si fosse giunti a tanto?»
«Fu colpa degli ufficiali in seconda. Erano legati ad Abrams da decenni di navigazione: alcuni si erano assuefatti alla sua follia, mentre altri ne erano stati contagiati. Durante l'ammutinamento furono uccisi uno dopo l'altro, finché il vecchio capitano non rimase solo. Fatto prigioniero, lo conducemmo sull'isola, ma non fu possibile a portarlo sulla vetta per giustiziarlo. Nonostante l'età era ancora molto agile. Si liberò e con la sua esperienza s'impossessò della mia sciabola. Persi la gamba a causa della cancrena che si diffuse dalla ferita che m'inferse. Ma la reazione di Abrams ebbe vita breve: presto fu sopraffatto e giustiziato».
Gli uomini, che stavano fissando la cima dell'albero, guardarono l'arto di legno del capitano.
«Io ero il più giovane degli ufficiali. Non ero ancora caduto sotto l'influenza diabolica di Abrams e non fu difficile per gli ammutinati convincermi della necessità di fare qualcosa. Ero un ragazzo, ma il mio sostegno permise al resto dell'equipaggio di trovare il coraggio di ribellarsi».
I marinai tacevano e Hill si era messo a riflettere. L'impiccagione del capitano di una nave era un evento più unico che raro, ed era noto il processo che portò alla condanna dei capi degli ammutinati, una volta tornati in patria e catturati.
Eastman concluse il racconto spiegando che era sfuggito alla cattura cambiando nome e imbarcandosi come mozzo su navi corsare. Da allora aveva risalito la gerarchia e si era distinto per capacità e coraggio fino a diventare capitano.
Nessuno poteva immaginare quale tremenda maledizione avesse potuto formulare Jeremy Abrams prima della sua esecuzione, perciò Hill propose di abbandonare la spedizione di soccorso. C'erano troppi misteri su quell'isola, ed era certo che, uno o l'altro, sarebbero stati fatali per loro.
Mentre discutevano, un marinaio notò una piccola scatola ancora chiusa a terra, la raccolse, l'aprì e scoprì un orribile millepiedi. A quella vista lanciò un urlo. L'invertebrato traboccò dal contenitore, cadde a terra e fuggì sparendo tra la sterpaglia. Gli uomini che erano intorno, nonostante la tensione, risero alla vista di quella scena.
Il nostromo ripeté: «Andiamocene, capitano. Il dottor Jackson e il secondo ufficiale sono stati inghiottiti dalla giungla. Non c'è più nulla da fare per loro. A quest'ora, se fossero ancora vivi, li avremmo trovati».
«Ma non possono essersi volatilizzati».
«Neanche il corpo del vecchio capitano può essere scomparso, tuttavia alle radici della sua forca non abbiamo rinvenuto neppure un dente».
Nel frattempo, nella semioscurità della giungla, si stavano muovendo delle ombre inquietanti. Il primo ad accorgersene fu il mozzo Tom Williams. «Ci sono degli uomini tra gli alberi!», urlò.
Subito il gruppo si mise sulla difensiva. Alcuni marinai sguainarono le spade, altri spianarono i loro fucili, mentre il capitano estrasse la sua pistola e ne alzò il cane dopo averla puntata alla cieca.
Tra i tronchi, quasi più numerosi degli alberi stessi, c'erano figure d'uomo ancora al riparo dell'oscurità. Erano così tanti che, se fossero stati ostili, avrebbero potuto sopraffare senza difficoltà lo sparuto manipolo dei soccorritori.
* * *
Il medico Jackson e i suoi tre compagni giacevano a terra. Il silenzio era calato sulla radura e le ombre della sera si erano ormai allungate.
I quattro corpi senza vita erano immobili, mentre sulla superficie corrosa della loro pelle, le spore che si erano depositate sembravano fermentare.
A un tratto, il braccio destro di Kirkland ebbe un fremito che si trasferì subito al resto del corpo. Dopo un'istante il busto si sollevò e l'uomo si mise seduto. Il suo sguardo fissava il vuoto.
Subito dopo, quello stesso fremito che aveva apparentemente risvegliato l'ufficiale percorse anche i suoi tre compagni.
Prima si alzò il dottor Jackson e poi anche i due marinai. I loro movimenti erano goffi e i loro sguardi senza vita.
Non appena cominciarono a muoversi, altre figure umane, o almeno ciò che ne restava, cominciarono a entrare nella radura proveniendo dalla giungla. Erano rimasti nascosti tra le frasche del sottobosco a osservare non visti, e ora si avvicinavano ai quattro in silenzio, camminando lentamente e senza lasciare alcuna traccia, come se fossero un tutt'uno con la vegetazione. Quei corpi si muovevano spinti da una volontà che non era la loro: lo testimoniava uno sguardo privo di consapevolezza.
La cosa che li rendeva particolarmente disgustosi alla vista erano le orribili escrescenze che li ricoprivano. Sembrava che funghi e piccoli germogli fossero cresciuti sulla loro pelle corrosa. Da alcuni spuntavano addirittura corti rami carichi di fiori gialli simili a quelli dei fusti spinosi che avevano spruzzato la linfa acida e poi le spore.
Tra quegli uomini, sotto lo stato vegetale che li ricopriva come una seconda pelle, si potevano riconoscere marinai d'ogni razza e colore: europei, neri, asiatici. E le divise di cui c'era ancora qualche traccia erano di varie nazionalità: spagnole, inglesi, francesi.
Il quartetto che si era appena rialzato si aggregò al gruppo e si perse tra i ranghi di quel minuto esercito d'uomini morti.
Quando la radura fu piena, il sole tramontò e un uomo imponente, che portava con sé le protuberanze vegetali più vistose, attraversò quella folla di dannati e si collocò al centro sotto l'albero dell'impiccato. Tutti si volsero verso di lui e attesero immobili come se dovesse arringarli, ma su quel silenzio calò la notte.
* * *
Il capitano Eastman aveva ordinato ai suoi marinai di formare un quadrato al centro della radura. Quella sparuta dozzina era terrorizzata. Ognuno di loro imbracciava il fucile caricato a palla. Avevano alzato il cane e puntavano le ombre nella boscaglia. Dopo una prima scarica avrebbero tentato di ricaricare, ma se la corsa degli assalitori fosse stata troppo veloce, non ci sarebbero riusciti e avrebbero dovuto mettere mano alle sciabole.
Le figure nell'ombra si muovevano lente. In apparenza non avevano alcuna fretta. I minuti passavano inesorabili e ormai era trascorso molto tempo da quando i misteriosi abitanti dell'isola erano stati scorti.
Eastman fece un tentativo. Dopo aver mosso un passo avanti fuori dal quadrato di dodici uomini chiese a gran voce: «Chi siete? Cosa volete? Veniamo in pace!»
Quella domanda non sortì alcun effetto. Le figure nell'ombra non mostrarono d'aver inteso.
Avanzò il nostromo, che conosceva i dialetti del Pacifico parlati negli arcipelaghi a centinaia di miglia di distanza, e formulò la stessa domanda in quelle lingue primitive, ma a sua volta non ottenne risposta.
I due rientrarono nei ranghi e confabularono tra di loro sul da farsi. Intanto il sole era già alto sulla radura e cominciò a fare davvero caldo.
«Chi ha il coraggio di avvicinarsi?» chiese il capitano.
«Vado io», disse Tom Williams, il mozzo, e si avviò verso il limite degli alberi.
Mentre camminava, si notò un movimento tra le piante, come se molte ombre confluissero verso il punto a cui Tom era diretto. Quando, con circospezione, giunse al limitare, si udì un suono gutturale provenire dall'interno della giungla e, in risposta, tutt'intorno riecheggiò un gemito che sembrava uscire dalla profondità di mille gole.
Tom si fermò spaventato, e alcuni degli uomini nascosti dagli alberi vennero allo scoperto dimostrando un'insospettata abilità nella corsa.
Quando le figure furono illuminate dalla luce del sole, i dodici assediati poterono rendersi conto di cosa avessero di fronte. Quegli uomini, se così si potevano chiamare, presentavano mostruose escrescenze su tutto il corpo; funghi e rami spinosi facevano un tutt'uno con le loro membra, e quelle protuberanze non ne impacciavano i movimenti. La pelle poi appariva spaccata e ruvida come la scorza d'un albero, sotto ai cenci da cui erano coperti.
A quella vista il mozzo lanciò un urlo e rimase paralizzato dal terrore. Con pochi balzi quegli uomini deformi gli furono addosso e lo trascinarono scalciante nella giungla dove poco dopo le grida cessarono.
I marinai spaventati si chiedevano cosa fossero quei mostri e da dove venissero.
Il nostromo, che aveva l'abitudine di immaginare sempre il peggio possibile, e che era rimasto stupito di quanto al peggio non ci fosse limite, aveva conservato comunque il suo sangue freddo e disse: «Non possiamo lasciare Tom nelle mani di quegli esseri. Ci sono chiaramente ostili. Prendiamoli di sorpresa tentando di spezzare l'accerchiamento».
Quando si udì ancora una volta la voce del mozzo lanciare un grido disumano in lontananza, il capitano Eastman si convinse e ordinò: «Forza, uomini! Tentiamo il tutto per tutto. Assalteremo il punto dove Tom è stato catturato. Spareremo una scarica in quella direzione per aprirci un varco e metteremo mano alle sciabole per farci largo. Se ci disperderemo, l'appuntamento è alla spiaggia d'ormeggio».
Dopo l'ultimo urlo lanciato dal mozzo, nella giungla era tornata la quiete e le ombre si erano calmate.
I marinai, raccolto il coraggio residuo di cui disponevano, verificarono l'efficienza delle loro armi e si prepararono all'assalto.
Al segnale del capitano si lanciarono urlando e correndo come un sol uomo attraverso le piante dai fusti spinosi. Esse si spezzavano calpestate dagli stivali e si strappavano, impigliate nelle giubbe e nei pantaloni da lavoro. A ogni fusto lacerato si udivano gemiti nella foresta e l'agitazione delle ombre cresceva.
Quando il gruppo giunse a pochi passi dai primi alberi, alcuni uomini dalle escrescenze mostruose cercarono di fronteggiarli, ma furono falciati da una scarica ravvicinata di colpi di fucile e pistola. I marinai quindi si liberarono delle armi da fuoco, e sguainarono le sciabole continuando la corsa.
Si addentrarono nella giugla tirando fendenti a destra e a manca. Ogni volta che uno dei mostri veniva colpito, volavano schegge di corteccia e le protuberanze spinose venivano amputate. Ma la situazione era disperata: ogni nemico che soccombeva veniva sostituito da due esseri come lui. Molti marinai furono messi fuori combattimento. Catturati, sparivano nell'oscurità della giungla.
Alla fine il capitano Eastman, soverchiato dalle forze nemiche, desistette e, assieme al nostromo e all'ultimo marinaio rimasto al suo fianco, si ritirò nella radura. Quando giunsero al centro, con le divise lacere e feriti dalle spine, la giugla si calmò: gli abitanti dell'isola non li avevano inseguiti.
Quella calma apparente non persuase per nulla il nostromo, ma le ore passavano e non succedeva nulla. Poi verso il tramonto, un gruppo di quegli orribili esseri trasportò i marinai catturati ai margini della radura e li liberò. Gli uomini acciaccati dalla lotta e provati dalla prigionia, sorpresi di essere stati liberati, si aiutarono l'un l'altro e si radunarono attorno al capitano.
«Perché ci hanno liberati, capitano?» chiese il mozzo, coperto da innumerevoli graffi, ma per il resto illeso.
«Non lo so, figliolo».
In quel momento una figura imponente fece il suo ingresso nella radura e si fermò dopo qualche passo. Sembrava attendere qualcosa. Agli occhi dei marinai era evidente che fosse il più vecchio di quegli uomini abominevoli. Le fronde che si staccavano dal suo corpo erano lunghe e spessa la corteccia che lo ricopriva. Dal volto pendeva una lunga barba intricata e i folti capelli, di un grigio sporco, nascondevano uno sguardo privo d'espressione.
Il capitano Eastman, dopo aver fissato a lungo gli occhi vuoti di quella figura, ebbe un sussulto: «Mio Dio! Quell'uomo è Jeremy Abrams».
In quegli istanti il sole stava calando dietro le cime degli alberi più alti e lunghe ombre ricoprivano lentamente la radura.
* * *
A bordo del "Saint Andrew" l'equipaggio era ormai allarmato da tempo. C'era apprensione per la sorte dei dispersi e della spedizione di soccorso, dopo che s'era udita una raffica di spari in lontananza. Erano colpi soffocati dalla giungla, ma tutti avrebbero giurato che si trattasse di armi da fuoco.
Il terzo ufficiale aveva tergiversato per ore mentre gli uomini lo incalzavano, perché prendesse una decisione. Alcuni avrebbero voluto che fosse inviato un altro contingente di uomini in soccorso, ma i più chiedevano a gran voce che l'ancora fosse salpata e che il veliero partisse allontanandosi il più possibile da quei fondali maledetti.
Mentre a bordo la discussione ferveva e il sole era ormai calato dietro l'orizzonte, la vedetta sulla cima della coffa dell'albero maestro lanciò un grido e indicò la spiaggia.
Nella semioscurità della sera si vide a malapena un gruppo di quattro uomini che si impossessava di una scialuppa lasciata in secca dagli equipaggi sbarcati. L'imbarcazione fu spinta in acqua e si diresse lenta verso il veliero.
Chi riuscì a osservare le persone nella barca con l'aiuto di un cannocchiale riconobbe i colori dell'abito del dottor Jackson e la divisa del capitano Kirkland, perciò gli altri due uomini dovevano essere Bob e Jeff.
Subito un coro di grida entusiaste si levò dal ponte della nave e l'equipaggio si preparò ad accogliere i quattro dispersi.
* * *
Il capitano Ortega, comandante del "San Cristobal", osservava dall'alto del castello del suo galeone una scena sconfortante: una nave inglese squarciata era scossa dalle onde dell'oceano in burrasca. Era ormai semisommersa e il suo scafo veniva scorticato dal fondale corallino dell'isola.
«È il "Saint Andrew", capitano?» chiese il pilota.
«La sagoma corrisponde», rispose sconsolato Ortega. «Il nostro bottino è ormai in fondo al mare. Reputavo il capitano Eastman un uomo prudente e capace, ma ha chiesto troppo alla sua nave e ha fatto naufragio. È l'unica spiegazione».
«L'isola dell'impiccato non perdona», constatò il pilota. «Quali sono i suoi ordini?»
«Veleggiamo al largo attendendo che l'uragano perda forza».
«E poi?»
«Domani manderò una squadra a ispezionare lo scafo. Potrebbe conservare parte del bottino. Poi ci riforniremo d'acqua e frutta sull'isola».
«Agli ordini, capitano!»
F I N E

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