Chiamatemi Ismaele. Alcuni anni fa – non importa quanti esattamente – avendo pochi o punti denari in tasca e nulla di particolare che m'interessasse a terra, pensai di darmi alla navigazione e vedere la parte acquea del mondo. È un modo che ho io di cacciare la malinconia e di regolare la circolazione. Ogni volta che m'accorgo di atteggiare le labbra al torvo, ogni volta che nell'anima mi scende come un novembre umido e piovigginoso, ogni volta che mi accorgo di fermarmi involontariamente dinanzi alle agenzie di pompe funebri e di andar dietro a tutti i funerali che incontro, e specialmente ogni volta che il malumore si fa tanto forte in me che mi occorre un robusto principio morale per impedirmi di scendere risoluto in istrada e gettare metodicamente per terra il cappello alla gente, allora decido che è tempo di mettermi in mare al più presto... (continua)
Ci sono romanzi la cui trama può essere riassunta in poche parole. Il loro testo però contiene un intero universo di citazioni letterarie, filosofiche, scientifiche e religiose. A una prima lettura sembrano raccontare di viaggi per luoghi esotici, ma in realtà si addentrano negli angoli più oscuri e remoti dell'animo umano.
Uno di questi libri è "Moby Dick" di Herman Melville. Narra dell'ultimo viaggio della baleniera Pequod, comandata dal capitano Achab, a caccia di capodogli, come appunto "Moby Dick", la balena bianca. Tuttavia l'epopea che attraversa le pagine del romanzo, che già di per sé cattura il lettore con i suoi risvolti epici, assume i contorni di un'allegoria della condizione umana, nella cui drammaticità ci si può riconoscere.
Un classico da leggere e rileggere!
Un classico da leggere e rileggere!
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